
I GIOVANI QUESTI SCONOSCIUTI
A quasi un quarto di secolo continuo a rientrare nella categoria “giovani”. Si trattasse di essere condannati al Topexan fino a una non meglio identificata età adulta o sostituire nello Zingarelli la parola “cena” con “happy hour”, allora non me la prenderei troppo. Ma essere giovani è più complicato: al dire “giovane”, un esercito di sociologi e psicologi irrompe sulla scena a mò di fermenti lattici nella pubblicità dello yogurt, per raccontarne l’essenza, rafforzarne le difese e realizzare “lo studio”, “la statistica”. Alla fine, il mio “identikit” dovrei trovarlo sui settimanali di mezza Italia. Dovrei, perché non è così, mica pizza coi fichi trascendere il ghetto delle categorie care ai giornali.
Quelle che l'”universo under 30 sotto la lente” (dell’Espresso) è chiamato “Generazione figli di papà”: non soffrono di conflitti generazionali, hanno bandito la conflittualità dalla famiglia, ne sognano una analoga per un futuro nel quale hanno molta fiducia. Certo che se fai rientrare anche un 29enne nella categoria, la cosa dice molto sulle vessazioni di orari e doveri che terrà tra le mura di casa. Certo che se la mamma vessatrice è la stessa che zompetta fra un top e l’altro di Corso Buenos Aires, in gonna bordoinguine e stivalazzi pitonati, la cosa dice molto sulla libertà di espressione del tanga esterno al jeans della sua bimba tredicenne, priva di conflitti generazionali.
Lunedì notte, ore 1.30, benzinaio self service di Melchiorre Gioia, in coda dietro una Punto, un ragazzetto e quattro sedicenni armate di cellulare: «Mami? Guarda che non torno, dormo dall’Edo! Nonono, non cominciare ad asciugarmi, ok? Baciobaciobacio». Ammesso che questo Edo sia il fratello di una vita, che razza di madri lasciano scorazzare le figliole fino a tarda notte con un neo patentato, per di più infrasettimanalmente, senza reagire al “non mi asciugare”? Rimani come nonna angosciata, nonostante per l’Espresso si sia giovani under 30. A 29 anni mia madre aveva 3 figli e una padella di cavoli suoi per rispondere di “socializzazione morbida” e cocchismo di mamma nella sua famiglia. Neanche 20 anni dopo avrebbe dovuto farlo e, probabilmente, di figlio non ne avrebbe avuto mezzo, a detta di un giovane-simbolo dell’attuale generazione. È il ragazzo prodigio della letteratura americana Jonathan Safran Foer, 27enne di New York, la cui intervista correda gli studi presentati nell’articolo. In particolare, «Le piacerebbe avere dei figli?», «Mi piacerebbe nella vita avere almeno un figlio e una figlia. Per ora ho già un cane e non ho bisogno di altri».
Quelle che Giorgio Bocca dice che c’è da preoccuparsi per questo “reducismo nero poco o tanto che sia” perché “nel mondo è tornata quell’aria avventurosa, irrazionale, feroce, in cui si liberano gli istinti della violenza e la fantasia della demenza ai fascismi indispensabile” (foto delle svastiche laziali contro il Livorno). Eppure, a passeggiare per via Dante la domenica pomeriggio, quando i ragazzi di Forza Nuova raccolgono firme contro il 25 aprile sotto lenzuoloni con la croce uncinata, non la respiri tutta ‘sta avventurosità, specie se nel raggio di 15 metri giovani dell’Arci raccolgono firme “per una libera Rai”, gli arancioni “contro la repressione dei Falun Gong in Cina”, gli amici della Bonaccorti “per l’amico cucciolo”, roiti femminili “per votare sì al referendum del 12 giugno” e qualcun altro chiede offerte per un’amichevole nonsoquale centro sociale vs centro accoglienza maghrebini. Ecco, a passeggiare per via Dante questo istinto alla violenza dei raccoglifirma del Terzo Reich non raggiunge certo i livelli di chi, per raggiungere il Castello, deve sgomitare tra poliziotti a testuggine, puzzolenti leoncavallini e digos in borghese. In alto, la croce uncinata sventola. Tra la facciazza di Che Guevara, la foca sterminata per le pellicce della Rinascente e il Manifesto con Ratzinger e l’elmetto delle SS.
Quelle che, siccome la massaia è «un ammasso di qualcosa», Panorama lancia l’allarme, ma in fondo non ci crede troppo: nell’era della scolarizzazione di massa i giovani non sanno scrivere correttamente, allora si fa un bel servizio sull’università La Sapienza di Roma che istituisce corsi di italiano scritto per colmarne le lacune. Bene, ma due pagine dopo il servizio su noi giovani asini, è di scena ancora lui, Jonathan Safran Foer, anche su Panorama! Solo un articolo sulla pittura iperrealista separa i biasimi della nostra lingua imbarbarita dalla sua penna di best seller. Bene, ma il servizio immediatamente successivo affronta il tema dei «technoraduni su spiagge e discoteche», con tanto di dizionario minimo dell'”esperanto dance”: turner table, selector, nerd, face less dj. Ricapitolando: noi giovani siamo ignoranti, lo stesso giovane che ci simboleggiava sull’Espresso è un dio della comunicazione lontano da noi anni luce su Panorama che, prima ci schernisce per la nostra lingua “tutta tv e sms”, e poi ci fornisce l’indispensabile vademecum delle «menti in cortocircuito» e dei «muscoli ben allenati a fronteggiare la fisicità dinamica del groove» al festival delle avanguardie elettroniche. Pensi di averne abbastanza di suggestioni sull’essere giovane, e invece, pagina successiva: il «volto della generazione cartavelina dei venti-trentenni», dice la giornalista, presentando il «ventenne fenomeno» Silvio Muccino che, «simbolo dei giovani disimpegnati», parla di «sesso, Wojtyla, fecondazione, sentimenti, tv, cinema e politici di casa nostra». Tutto in due pagine e un colonnino, orcavacca, difficile fare il testimonial dei giovani. Specie se vai intercalando un «Mara Venier? Con quelle tettone evoca un melone» a un «a furia di sentir parlare del Papa, ho voglia dei Black Sabbath».
Quelle che nemmeno il Corriere Magazine ci salva dall’inchiesta: direttamente dall’Oms apprendiamo che: «l’alcolismo è la principale causa di morte nei ragazzi tra i 12 e i 29 anni», «in Italia, l’età in cui i giovani cominciano a consumare alcolici è la più bassa d’Europa: 11-12 anni», «sono quasi un milione gli adolescenti italiani tra i 14 e i 16 anni, di cui quasi la metà femmine, che consumano abitualmente birra, aperitivi alcolici e vino». Sotto accusa gli alcolpop o ready to drink, tutte quelle bottigliette che a rum, vodka o altro intrugliano succhi di frutta dai colori improponibili. A Porta Ticinese, si beve, ma con stile: Bacardi Breeze per le ragazzette, Cuba Libre per i falchetti di periferia, birra in bottiglia per il rasta tutto cane e bongo, 2 euro al baracchino della piazza per la stessa che al tavolo delle donnine costa 5. E, innanzi ai giovani prossimi all’alcolismo, l’altra generazione da piazza: sdentati cinquantenni dai capelli lunghi, bandane, simili a cloni di Vasco Rossi, tutti a evocare ben altre dipendenze assassine. Ma l’alcolismo è invitante, specie quando un locale o discoteca ti chiede fino a 12 euro per qualsiasi consumazione e ti sembrano terribilmente sprecati per un’acqua gasata o un Pago all’albicocca. Certo è che, se la mamma all’una di notte ti lascia andare via con Edo, ballare sui tavoli al Loola Paloosa sorseggiando un “Sex on the beach” è forse il male minore.
Quelle che dall’America, «la guerra tra i sessi ha raggiunto nuovi livelli», ci informa il Corriere.it, caricando online le magliette siglate “I maschi puzzano” del marchio David Goliath. Pare che il “boy bashing”, l'”attacco ai maschi”, spopoli tra i teenager. Che gli americani avessero qualche problema non è una novità, ma la verità sta tutta nell’elemento maglietta, essenziale al giovanilismo. L’ho capito l’estate scorsa, quando un attonito cameriere dei Navigli ha assistito a una performance da regalo di compleanno delle mie amiche: scarti il pacchetto, emerge una canotta col logo “Boodega Bay”, quelle si alzano, tolgono le magliette e tutte urlacchiano con la stessa canotta. Ora, non è importante dire cosa significhi “Boodega bay”, ma che in quello stupidissimo istante non ci sentivamo affatto più fiduciose nel futuro, private di conflittualità familiare, di conoscenza della lingua italiana o politicamente orientate. Nonostante tutto, il vecchio cameriere ha commentato: «Beata gioventù», e alla faccia di Panorama, l’Espresso e Corriere, aveva ragione.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!