I Gulliver Ds in mano ai lillipuziani dell’Ulivo

Il problema dei rapporti tra il grande sistema della cooperazione rossa e il Pci-Pds-Ds fa parte della storia della Repubblica. Se la sinistra comunista poté non conoscere l’avventura del finanziamento diretto tra industria e partiti democratici, che travolse questi ultimi ai tempi di Mani Pulite, è perché essa possedeva un proprio sistema economico interno, un proprio potere capitalistico che poteva inserirsi nella trattativa a titolo di operazione economica e non di mera ricezione di finanziamenti.
Che in questo modo il sistema cooperativo sia divenuto una grande forza economica, è una verità nota a tutti; che esso lo sia divenuto mediante il rapporto diretto con le istituzioni locali di sinistra e con l’amministrazione centrale, è anche questo universalmente noto. Che esso abbia pure ricevuto per decenni un trattamento fiscale privilegiato, è un dato in possesso del sapere comune. Stando così le cose, la possibilità che le cooperative rosse facessero il volo alto, per passare da una società di assicurazioni a una banca, non è un fatto che possa sorprendere.
Che esso sia però avvenuto con metodi così impropri, con l’abuso dei poteri bancari, con la gestione anomala dei depositi dei clienti, infine in modo apparentemente illegale tanto da essere oggetto di un processo, questo si comprende meno. Il fine poteva essere giusto, perché scegliere questi mezzi? è questo il problema che nasce ora a sinistra: la cooperazione ha operato in modo da essere indagata per associazione a delinquere. Dove conducano le indagini della Procura milanese non è lecito ancora supporre, visto che Fiorani è già nelle condizioni proprie degli imputati di Tangentopoli, quelle di esprimere abbondantemente le informazioni di cui è in possesso nella condizione di incarcerato.
Questo è ciò che lascia i dubbi sui vertici dei Ds: aver voluto raggiungere un fine non impossibile con mezzi così impropri e illeciti. Ciò cambia certamente la figura politica della sinistra post-comunista, perché le toglie la caratteristica con cui essa aveva incluso e superato la sua definizione di forza rivoluzionaria: quella di forza morale. Tale era stata infatti l’opera di Enrico Berlinguer: sostenere la diversità antropologica dei comunisti italiani, razza selezionata per raggiungere effetti morali, geneticamente programmata. E, per questo, portatrice del diritto di rendere etici tutti i mezzi che sceglieva per raggiungere i propri fini. Dalla moralità come avente una qualche forma di regola, si passava alla moralità incorporata nel corpo del post-comunismo. Oggi le due figure maggiori del Ds, Massimo D’Alema e Piero Fassino, devono subire il silenzio e la reticente condanna di Prodi e della Margherita, e divenire essi, la forza dominante e anche politicamente più creativa dell’Ulivo, bisognosi della benevola tolleranza di tutti i propri alleati, come Gulliver avvolto in tenaci fili dai lillipuziani.
bagetbozzo@ragionpolitica.it

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