La preghiera del mattino (2011-2017)

I miei sei mesi da sequestrato, “sperando contro ogni speranza”

Sperare contro ogni speranza. È utilizzando la celebre espressione di san Paolo che oggi, in un’intervista a Repubblica, Rolando Del Torchio racconta i suoi sei mesi nelle mani di Abu Sayyaf, il gruppo terroristico filippino che si ispira all’Isis. Rapito il 7 ottobre e liberato l’8 aprile, l’imprenditore di Varese, ex sacerdote, ha raccontato i suoi mesi disperati: «Se fossi stato ad Auschwitz mi sarei buttato contro il filo spinato per farmi ammazzare. Come liberazione. Poi ho cominciato a studiare un piano per scappare, rubando un fucile col quale spararmi nel caso mi avessero ripreso: i fuggitivi li fanno a pezzi col machete. Ma era impossibile. E allora ho iniziato a sperare».

Del Torchio non era l’unico sequestrato, un canadese che era con lui è stato giustiziato. «Marciavamo ogni giorno per ore», mi hanno trattato «come un cane», ha raccontato. «Ho sempre dormito all’aperto, per terra, circondato da una decina di carcerieri. Solo dopo 4 mesi ho avuto un’amaca. Abbiamo mangiato solo riso con soia e talvolta un pezzetto di pesce secco o frutta cotta. Le mie razioni erano più scarse. Due pasti al giorno e alle 18 si dormiva».

Come si sopravvive in una situazione simile?, chiede il giornalista. «Preparandosi a morire. Non sapevo neanche più se fossi vivo: avevo il dubbio di essere già all’inferno. Ti accorgi che l’uomo non è fatto solo per sopravvivere: non ti basta respirare. Allora devi disconnettere il cuore dalla testa, non pensare più alle persone care sennò non reggi l’angoscia: vederti come un marinaio imbarcato per due anni. Ma non basta. Vedi il mare all’orizzonte, gli uccelli liberi. E tu lì: la cosa peggiore è non sapere per quanto. Non avevo più paura di morire, ma di vivere sempre in quella condizione».

Finché, ad un certo punto, «è scattato il bisogno di sperare contro ogni speranza, per citare San Paolo. Cantavo “fino alla fine Forza Rolando”, come il coro degli ultras del Bologna, la mia squadra. Parlavo con Dio: se devi farmi capire qualcosa, gli dicevo, è un po’ ingiusto come sistema. Sia fatta in cielo la tua volontà, ma in terra no, non così».

Foto Ansa

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