La preghiera del mattino

I pasticci in Cina di Michel e la crisi dell’Europa franco-tedesca

Michel e Li si incontrano a Pechino per Cina e Europa

Michel e Li si incontrano a Pechino per Cina e Europa

Su Formiche Adolfo Urso dice: «La grande consapevolezza che serva una visione strategica, una idea di sviluppo che riesca a tenere insieme la variegata realtà economica del nostro paese. Da troppi anni non abbiamo una strategia industriale. In questo primo mese ho incontrato molte persone, associazioni di categoria, i cosiddetti stakeholder, ma poi tocca all’autorità politica decidere con il Parlamento espressione della volontà democratica. Mi auguro venga fatto con una visione strategica che non cambi al cambio dei governi o al cambio di legislatura. Già nei prossimi giorni indicheremo la direzione con precisi atti normativi».

Sin dall’unificazione l’Italia ha avuto problemi nel sostenere l’accumulazione necessaria a far decollare e sostenere una grande industria. Dopo il 1945 Iri e le connesse Mediobanca & Commerciale hanno rimediato ai limiti familiari del nostro capitalismo e di una finanza che non aveva basi sociali adeguate. Negli anni Novanta soprattutto le iniziative di quel pasticcione-affarista di Romano Prodi hanno scombinato (più o meno come è avvenuto in Russia e in Argentina) il sistema senza trovare soluzioni alternative. Giulio Tremonti e Giuseppe Guzzetti dopo aver litigato, hanno messo una pezza alla situazione utilizzando la Cassa depositi e prestiti, ma le difficoltà di sistema sono evidenti se si considerano la produzione siderurgica, le telecomunicazioni, le strutture che devono sostenere la vocazione turistica dell’Italia, un sistema finanziario asimmetricamente condizionato da capitali stranieri. Negli anni più recenti di fatto l’istituzione che ha avuto il maggiore ruolo nella difesa delle nostre industria e finanza è stato il Copasir, peraltro guidato da Urso. Speriamo che ora lo stesso Urso da ministro dell’Industria (o delle Imprese e del Made in Italy, come si dice adesso) sia in grado di compiere alcune scelte che sostengano gli impegni interessanti che enuncia nelle frasi che qui si riportano.

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Su Huffington Post Italia Claudio Paudice scrive: «Un inesorabile alternarsi di forma – molta – e sostanza – ben poca – in un clima ovattato dalle celebrazioni di una “storica” amicizia suggellata da scambi di doni, photo opportunity con première dame e first lady e incontri tra massimi dignitari, ma senza realmente superare i dissapori politici che avevano fatto da prologo alla visita di Stato».

Mentre gran parte della nostra stampa main stream si dedica a sperticati elogi all’iniziativa di Emmanuel Macron (lodando tra l’altro il “nuovo” risultato di una conferenza di pace che era già stata annunciata un mese fa), l’Huffington post italiano intelligentemente ridimensiona la disperata ricerca di visibilità di un presidente francese in evidenti difficoltà.

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Su Affari italiani da Agenzia vista: Cina, 01 dicembre 2022. Colloquio di tre ore a Pechino tra il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e il presidente cinese, Xi Jinping.

I pasticci pechinesi di Michel, paralleli e contradditori rispetto ai “successi” americani del presidente francese, mettono bene in evidenza come lo scontro tra la “popolare” (tendenza Merkel) Ursula von der Leyen e il “liberal-macroniano” Charles Michel rappresenti perfettamente la crisi del tipo di europeismo che aveva impostato solo qualche anno fa (con l’indimenticabile benedizione di “Giuseppi”) la coppia Angela-Emmanuel.

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Su Fanpage Pierfrancesco Maran dice: «È un Pd che sentendosi progressivamente sempre più minoranza ha un gruppo dirigente che si è occupato di tutelare le proprie posizioni individuali e di corrente più che di costruire un processo di apertura che può portare a un sano ricambio. E questa è una colpa grave perché il Pd non è una proprietà privata di Franceschini e soci ma dovrebbe essere una casa aperta a tutti, contendibile, e può crescere solo cambiando generazione dopo generazione. Ma se si aboliscono le competizioni questo non potrà accadere».

L’amarezza di Maran per il pantano che è diventato il Pd, è comprensibile. In questi giorni quel poveretto di Enrico Lettino è arrivato a dire, mentre votava con Giorgia Meloni sull’Ucraina, che Carlo Calenda era un traditore perché voleva votare con la Meloni e non allearsi con i 5stelle che rompevano con il Pd sulla questione fondamentale della politica estera. Quel che manca nel giovane riformista milanese di cui qui si raccolgono le proteste è una visione un po’ più ampia: la crisi della politica italiana non è solo di uno o più partiti, ma di uno Stato in evidenti difficoltà. Oltre a pensare alla propria “parte”, si tratta anche di parlare con l'”altra decisiva parte” per portare fuori dal citato pantano l’insieme della nostra democrazia.

Foto Ansa

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