
I ragazzi di Piazza Duomo
«I professori hanno dimostrato la loro natura forcaiola. Occupazioni e cortei sono pratiche scomode ma irrinunciabili, tantomeno punibili». Non è passato molto dall’ultimatum dei punkapretoriani del collettivo del Parini (il ritiro immediato delle sospensioni di sei di loro e le dimissioni del preside), non c’è voluto molto che alla “normalità” scolastica, 22 mila euro di danni durante l’occupazione del liceo, seguisse la puntuale raccolta firme di Dario Fo e Milly Moratti contro «i processi sommari a porte chiuse» e il «clima di polizia politica» che i «più impegnati» respirano a scuola. E non c’è voluto molto perché il Gavroche di Repubblica, Umberto Galimberti, proclamasse: «Perdonare? Punire? No, educare. (.) Si obblighino gli studenti che hanno infranto le regole della civile convivenza a frequentare nella scuola per un mese due ore di lezioni supplementari di educazione civica, da condurre non sui manuali, ma invitando i ragazzi a leggere e a relazionare su libri che hanno la violenza per oggetto. Ne indico alcuni.». E a pensarci bene sarebbe bastato dimenticare, come un anno fa, quando al Parini bastarono 400 mila euro di danni causati da rubinetti aperti per aggiudicarsi il titolo di Atlantide milanese: sono ragazzi.
PER CHI HA PERSO LA MEMORIA
Ma pochi sanno di altri ragazzi. E delle parole dedicate loro dal presidente della Regione, da quello della Provincia e dal sindaco di Milano il 26 gennaio. Non lo sa certo Saverio Ferrari, che dall’alto del suo Osservatorio Democratico sulle nuove destre preferisce adempiere al politically correct della Giornata della Memoria lanciando l’allarme sull’«antisemitismo padano»: «Nei chiostri dell’università Cattolica di Milano i manifesti del Movimento universitario padano contro Israele e gli ebrei, tra rune e simboli delle Waffen-Ss». E poco prima, a scanso di equivoci, aveva denunciato le «proteste degli antifascisti e della comunità ebraica. Da Pino Rauti ai naziskin: tutti coloro che stanno per esser arruolati nella “crociata anticomunista” di Silvio Berlusconi». Qualcuno dovrebbe avvisarlo, lui e tutto il comitato di “antifascismo militante” che caldeggia la visita alla mostra “L’offesa della razza” di Udine, che il 26 gennaio il portavoce della comunità ebraica di Milano era alla presentazione di un’altra mostra, accanto ai crociati di Berlusconi, per plaudire al lavoro di giovani senza background di qualche “mila” euro di danni.
LA LEZIONE DI PORTOFRANCO
C’è una tensostruttura bianca, sotto le guglie del Duomo, i cui corridoi riportano una nevosa giornata di gennaio al gelo della Germania nazista di mezzo secolo fa. Foto d’epoca di un gruppo di amici che il folle amore per la vita portò a morire su una ghigliottina tedesca nel ’43. Rei di aver distribuito volantini che esortavano il popolo tedesco ad abbandonare Hitler.
Circa 10 anni dopo questi fatti, un sacerdote brianzolo saliva i gradini di un liceo milanese dando vita a un’esperienza educativa che oggi, a un anno dalla sua scomparsa, porta un altro gruppo di amici a raccontare di Sophie e Hans Scholl, e dei ragazzi della Rosa Bianca alla Milano del Parini, delle manifestazioni anti Moratti e delle istituzioni che guardano all’odierna vittoria di Hamas come a quella che portò Hitler a determinare la storia dei fratelli Scholl e di troppi altri. Sono i ragazzi di Portofranco.
Sono passati sei anni da quella cena fra insegnanti che sognavano un luogo di aiuto allo studio per i propri ragazzi, e oggi Portofranco è una realtà che elargisce qualcosa come 65.400 ore annuali di ripetizioni. Noi non possiamo risolverti la vita, racconta Tecla, una dei tanti universitari che settimanalmente si ritrovano a Portofranco, ma aiutarti a studiare, sì. Gratuitamente, così come le è stato insegnato dai più grandi, così come i più grandi impararono a loro volta dal sacerdote brianzolo, don Luigi Giussani. «Spesso – racconta a Tempi Alberto Bonfanti, l’insegnante responsabile di Portofranco – il disagio giovanile ha origine proprio nel disagio allo studio. La vicinanza di età, tra chi aiuta e chi è aiutato, ha instaurato un clima nuovo, di fiducia, e oggi ci occupiamo di 80 ragazzi a pomeriggio». Musulmani, ebrei, cattolici e ortodossi, chiunque passi da Portofranco lascia qualcosa, un canto di Natale, una lettera di ringraziamento, la preghiera di continuare così. Perché a Portofranco è possibile ciò che Roberto Formigoni chiama «integrazione» e Filippo Penati «contaminazione positiva», quello che per chi studia è più semplicemente detto amicizia, sulla quale mettere la parola “fine” dopo l’anno scolastico è difficile.
Alle domande dei giornalisti danno conto così dell’attualità della mostra, realizzata interamente da ragazzi e insegnanti di Portofranco in collaborazione con l’Associazione figli della Shoah e comunità ebraica di Milano: «L’ideologia non ha trovato terreno nei ragazzi della Rosa Bianca. Da quell’amicizia per ogni compagno, ebreo o cattolico che fosse, scaturiva gusto per la vita, dove la ricerca della bellezza nelle arti e della letteratura sola nutriva la speranza e l’esempio per il popolo tedesco».
ANCHE SENZA NOBEL
Non ci voleva molto perché Dario Fo approfittasse del Parini per sentenziare sulla scuola pubblica schiacciata dalla privata: «Sentirsi figli di un Dio minore spinge al malumore e fa nascere situazioni che vanno oltre le righe». Qualcuno dovrebbe inviargli l’intervento di Alessandro, terza liceo classico, impegnato ogni pomeriggio a dare una mano ai suoi amici di provenienza pubblica o privata che siano, alla presentazione della mostra: «Non riduciamo i loro atti a mero eroismo. La forza concreta della loro amicizia e l’amore appassionato alla realtà affermarono la vita sopra il regime della morte. Qualcosa di troppo profondamente umano». Perché forse non sempre si tratta di una questione pubblico/privato, forse è solo questione di esempi – non necessariamente un Nobel candidato sindaco che inneggia alla rivoluzione – o amici cui guardare, forse è veramente questione di ragazzi come realmente sono, come realmente siamo.
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