I soliti ebrei. Non dimenticano mai

In occasione della Giornata della memoria, ripubblichiamo un nostro vecchio articolo, apparso su tempi nel febbraio 2002

Mio caro Malacoda, le cose si fanno male sino in fondo oppure è meglio non farle. L’inferno è lastricato di buone intenzioni e così deve essere, per quanto possibile (purtroppo sappiamo che l’uomo non è capace di un solo gesto perfetto, neanche nel male), anche la terra. Gli uomini, per discolparsi, usano dire spesso che non si fanno i processi alle intenzioni, dimostrando così di non avere capito che invece la colpa è tutta lì, nelle intenzioni, nell’intento che non diventa tentativo, nella parola che scuote l’aria ma non i cervelli e meno che mai il cuore, nella retorica che non diventa ragione, nel desiderio che non diventa domanda. Mi riferisco a come è andata la Giornata della Memoria in Italia. Sapevo che era un’idea pericolosa, ma quando me l’hai proposta i motivi pro superavano quelli contro. Pensavo che la retorica che avviluppa le ricorrenze ne avrebbe sommerso il significato, ma dimenticavo la verità insita in ogni anniversario e in un eccesso di ottimismo ho sottovalutato quale riserva di intelligenza e di vera memoria sia quello strano fenomeno che è il popolo di Israele.

Ti avevo dato disposizioni rigide perché la giornata passasse in minuti di silenzio in tutte le scuole, filmati su Auschwitz, testimonianze di partigiani e allarmi sul ricorrente pericolo del fascismo. L’Olocausto è un fatto del passato e lì deve rimanere, il suo unico rapporto con il presente è nello slogan “mai più”. Ma se trovi anche solo uno che dichiari pubblicamente che «per gli ebrei l’Olocausto è un continuo perché» – come ha fatto quel Vittorio Dan Segre che ci crea sempre dei problemi – il gioco è rotto, se la memoria diventa la domanda continua del senso del presente, noi entriamo seriamente in difficoltà. Se, parlando di Shoah, perfino uno come Benny Morris dice che oggi il problema è nell’«intellighentsia occidentale che rigetta e indebolisce l’idea di Stato ebraico», provocando un’irruzione del presente nella consolazione del ricordo, abbiamo perso. Se, continua Morris, «le minacce iraniane e la guerra con il mondo arabo che auspica e persegue la fine dello Stato ebraico, in una lotta che risale al 1948 e arriva fino ad Hamas, solleva nuovamente le paure ebraiche di quello che ho chiamato il secondo Olocausto», perché «Israele è in pericolo, lo era nel ’48, nel ’67, lo è oggi. Ma in Occidente l’Olocausto è finito sempre più nella dimenticanza e nella memorialistica», la nostra costruzione va in frantumi.

Eravamo riusciti a portare la sinistra antifascista, che della difesa degli ebrei si considerava depositaria esclusiva, in quella felice e incosciente schizofrenia per cui l’ebreo buono è solo quello errante, mentre quello israeliano, con tutta questa voglia di vivere sicuro nei confini di uno Stato, non è che meriti tutta questa solidarietà, e ti arriva un presidente della Repubblica ex comunista che parla dell’antisionismo come della forma attuale dell’antisemitismo. Vabbè che non facciamo i coperchi, ma qui salta tutto! Adesso vedi di fare attenzione che questi cultori della memoria non diventino troppo amici di quell’altra genia sui generis che della presenza del Nemico fa memoria quotidiana, vedi di trovare qualche cattolico che faccia casino su Pio XII. Sbrigati.

Tuo affezionatissimo zio,
Berlicche

Foto Ansa

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