
I veri amici si riconoscono nel momento del bisogno (anche se il bisogno è fake)

Articolo tratto dal numero di gennaio 2021 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Qualche giorno fa, con una mia errata manovra intorno ad una email ricevuta che richiedeva aiuto per un amico, penso di aver permesso a degli hacker di entrare nella mia casella e abusare della mia lista contatti. Ad un numero elevato di persone, più o meno vicine, che erano nella rubrica, sono arrivate in conseguenza diverse email. Le prime segnalavano un mio problema ed una invocazione di aiuto, quelle successive invitavano a contribuire alle spese per rientrare dallo stato del Mali, in Africa, dove apparivo senza soldi e bisognoso.
La mattina dopo mi sono svegliato e ho trovato sul mio telefonino decine di email, telefonate e messaggi Whatsapp che chiedevano informazioni su quanto era successo. Chi aveva capito che si trattava di un virus e quindi di false email, chi chiedeva conferma, chi non vedendomi da tempo mi chiedeva cosa mi fosse capitato, chi cercava di avvisarmi che era successo qualcosa.
Lezioni di vita
Questa esperienza mi permette ora di fare alcune osservazioni circa i virus informatici e il livello di conoscenza fra le persone che tutti abbiamo nella lista contatti delle nostre email.
Prima osservazione: chi mi conosce bene ha capito subito che si trattava di messaggi truffa, sapendo perfettamente che mai avrei potuto mandare una email alle sette della mattina, ora in cui dormo.
Seconda osservazione: chi mi conosce bene non è caduto nel tranello degli hacker, sapendo perfettamente che non posso essere nel Mali in Africa, e per diversi motivi (ho un passaporto cagionevole, non mi muovo dall’Italia perché i pm sono ancora convinti che io possieda ingenti risorse nel mondo, non m’è mai piaciuta l’Africa).
Il testo della email finta tutto sommato era simpatico: «Salve, stai bene? Devo chiederti un favore. A presto». Chi rispondeva al messaggio si trovava indirizzato alle richieste economiche dal Mali, 950 dollari.
Una richiesta reale
Quando intorno alle due del pomeriggio sono riuscito a resettare il sistema e a reimpadronirmi della mia email, ho pensato di scrivere alle persone coinvolte per avvisare che i messaggi della notte erano finti, ma visto il simpatico testo ho scritto: «Purtroppo un virus è entrato nella email, ma il messaggio vale uguale, devo chiedere un favore: dite una preghiera».
Per un momento mi sono sentito come papa Francesco, che tutte le volte che parla chiede di pregare per lui.
L’effetto è stato dirompente. Ho ricevuto a quel punto ancora decine di email che mi chiedevano perché bisognasse pregare per me, quali problemi avessi… che strana richiesta.
Un amico mi ha telefonato e, sospettando che anche la mia email vera fosse scritta dagli hacker, mi ha dichiarato: «Adesso è grave, la mettono sul valoriale, hanno capito che sei cattolico».
Alla fine della giornata mi è rimasta però una domanda circa il virus: ma come fanno questi hacker a sapere che ho bisogno di soldi?
Foto da rawpixel.com
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