
Il business dell’erba legale è un flop. E favorisce il mercato nero

C’è un articolo apparso domenica 24 novembre sul Corriere che merita di essere segnalato e ripreso, prima che finisca nel dimenticatoio. Lo ha scritto il corrispondete dagli Stati Uniti, Massimo Gaggi, e il suo titolo è oltremodo esplicito: “Marijuana, flop delle imprese che hanno investito nell’erba legale: persi 35 miliardi di dollari”.
35 miliardi in fumo
Il titolo ben riassume lo stato dell’arte. I magazzini sono pieni di “roba” invenduta, il business dell'”oro verde” si sta rivelando una voragine.
«Il business del futuro nel quale centinaia di imprese avevano investito ingenti capitali si sta rivelando un flop. Nell’ultimo anno i maggiori gruppi che avevano investito in questo settore hanno perso i due terzi del loro valore. La battuta è facile: 35 miliardi di dollari andati in fumo».
Sebbene, scrive Gaggi, «l’accettazione sociale della marijuana cresce», «le barriere legali si riducono», i favorevoli alla legalizzazione aumentano, tuttavia tutto ciò non ha portato né ad un aumento degli affari (quindi al fallimento della logica “liberalizza e tassa”) né a una decrescita del mercato illegale (secondo la logica, “se liberalizzi, sconfiggi le mafie”). Anzi, sta accadendo proprio il contrario.
Dilettanti di criminologia
Scrive il Corriere:
«Tanto in Canada quanto negli Stati Uniti il principale fallimento riguarda quella che era stata la principale motivazione alla base della campagna per la legalizzazione: eliminare il mercato nero. Spazzare via un intero settore dell’economia criminale creando al tempo stesso un nuovo settore economico legale che produce lavoro ed entrate fiscali. Non è andata così: tanto in Canada quanto negli Usa la marijuana illegale continua a prevalere su quella che transita per i canali regolari. In sostanza il racket della droga si è dimostrato abile e reattivo nell’abbassare i costi del suo prodotto importato illegalmente, mentre la decriminalizzazione ha ridotto i rischi (una cosa è essere accusati di contrabbando ben altra essere incriminati per spaccio di sostanze potenzialmente mortali). Oggi molti gruppi criminali creano centrali direttamente negli Usa e in Canada anziché appoggiarsi su strutture intermedie in Messico. Gli Stati che hanno legalizzato la cannabis, poi, hanno deciso di applicare un’elevata tassazione come per altre attività “viziose”, dal fumo al gioco d’azzardo. Risultato: negozi costretti a pagare molto per la loro licenza e che vendono un prodotto legale altamente tassato devono imporre prezzi che a volte sono addirittura un multiplo di quelli del mercato nero».
Sorpresi? Noi non più di tanto. La “logica alla Saviano” secondo cui con la liberalizzazione si battono le mafie è roba da «dilettanti di criminologia», come ebbe a dire il giudice Paolo Borsellino. La verità è che il business legale della cannabis ha altissimi costi sociali e bassissimi benefici di lotta alle criminalità. Ora è anche chiaro che ha nulli vantaggi fiscali per lo Stato spacciatore.
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