Il Cile in rivolta, il deserto del risentimento e la necessità della Bellezza

Articolo tratto dal numero di febbraio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Nella sua estensione il Cile è il paese più “lungo” del mondo. La sua lunghezza copre, in proporzione, un viaggio dal Regno Unito al Ghana. Da nord a sud il Cile si estende dal deserto più arido del mondo, il deserto di Atacama, fino alla Patagonia cilena (senza tenere in conto il territorio Antartico). La sua diversità geografica è anche una diversità nelle modalità di bellezza del paese.

Il deserto, da dove proviene la maggior ricchezza economica grazie al rame, contrasta con la bellezza della zona del vino e dell’agricoltura, la così chiamata zona centrale, più a sud, tra i fiordi, l’agricoltura e la produzione del salmone. Una bellezza singolare che passa anche attraverso l’umano grazie ai grandi poeti che appartengono a questo paese.

Per motivi climatici oggi c’è grande siccità, per cui il deserto si estende gradualmente verso sud. Ciò che prima era verde ora è grigio. Quando il deserto, non quello geografico ma quello umano, la solitudine, la mancanza di senso, l’assenza di ideali veri toccano il cuore dell’uomo, il paesaggio si fa difficile da decifrare, soprattutto quando la retina dell’occhio è appesantita da questa specie di nostalgia del “verde” dell’inizio. Una bellezza apparentemente assente.

È ciò che sta accadendo in questi giorni in Cile e in altre parti del Sudamerica; per non dire anche, per esempio, nel mondo europeo con i “gilet gialli” in Francia o le “sardine” in Italia che non sono altro che la manifestazione di questa mancanza di senso e di appartenenza. Il nichilismo e l’anarchia, questa assenza di bandiere e di volti per dare spazio alla “massa”. Non è più un io che esige giustizia e che scende in strada implicandosi con la realtà, manifestando la sua indignazione (cioè il grido che porta dentro la parola “dignità”, in questo caso persa). Il recupero della dignità è la manifestazione dell’umano. Il problema dunque non sono gli “indignati”, il problema sono i risentiti.

Da tempo i governi in Cile hanno sostenuto diversi argomenti per rinnovare l’educazione. Un rinnovamento che ha portato via la storia e la filosofia, tra le altre materie, dai corsi obbligatori della scuola. Il carattere cileno, forgiato dal mare e dalla catena montuosa, è un carattere piuttosto “sentimentale” come visione della vita, pertanto un aspetto di riflessione profonda è assente dal nostro carattere. Siamo pratici e forse per questo il sistema economico ci ha fatto tanto bene, finora. Ma ora l’umano inizia a passarci il conto (considerato che il 20 per cento dei cileni ha sintomi di depressione e che si suicida una persona ogni 5 ore).

Nel 2007 un filosofo cileno profetizzava:

«Una società che esaurisce il proprio tempo solo nell’esportare frutta e minerali, nell’aprire banche e farmacie e nel progetto meschino di ridurre la scuola a modalità per guadagnarsi la vita, alla fine una società che cammina con gli occhi chiusi dove la porta il mercato, se solo aspira a quello, terminerà essendo la negazione di una società storica. Nelle società degradate dalla povertà, dalle esclusioni permanenti e dalle differenze irrecuperabili create da tali esclusioni il debito puramente ideologico perde tutto il significato positivo e il recupero dell’altro debito, quello dell’umanità di vita che ci dobbiamo, si incontra nella disaffezione sociale e in forme incomprensibili di violenza» (Humberto Giannini, La metafìsica eres tú).

Il risentito è quel tipo umano a cui non interessa il proprio “io”, cioè la propria dignità e il proprio desiderio. È un soggetto che deve solo dare la colpa a qualcuno, è una persona che attribuisce agli altri, al sistema, la colpa del fatto che la vita non sia un luogo di pienezza. È un tipo irrazionale (per tornare al tema dell’educazione), dove non c’è uno spazio riflessivo sull’esperienza, per cui l’unica risposta è la violenza. La crisi attuale è in questo passaggio dalla corrente che desiderava una risposta al desiderio di giustizia sociale a questa violenza ultima senza senso né spiegazione: distruggere solo perché sì, solo perché qualcuno me lo deve.

Il deserto non è solo geografico, è assolutamente umano. La crisi parte in famiglia; genitori assenti per rispondere al sistema del denaro ed elevare le proprie pretese economiche. Segue la crisi della Chiesa, fondata sullo scandalo degli abusi e una lontananza dal popolo. Termina la crisi della scuola dove la naturalezza dell’educazione, l’abbracciare la verità della realtà totale, si ferma ridotta a mantenere le forme nelle quali dire la verità non provochi ferite; la denaturalizzazione dei luoghi.

Cosa ci strappa dall’anarchia, dal nichilismo e dal vittimismo reciproco? Solo una bellezza. Una bellezza nota del resto. Non possiamo non partire da quel verde devastato dall’aridità e che, senza dubbio, continua a essere e a esistere nelle pupille dell’esistenza. Solo una bellezza salverà il mondo.

Recuperare i luoghi famiglia, Chiesa e scuola con una educazione aperta a un dialogo aperto e sincero, per non dire responsabile con la ragione, per vivere di fatti e non di poemi o di ideologie, che del resto quando toccano la fragilità degli adolescenti giocano e intrappolano il desiderio umano, assomigliando alla risposta ma generando una desolazione più grande e una distruzione più profonda che è la relativizzazione del cuore umano. Tornare all’uso della ragione per dare strumenti adeguati alla ricerca della felicità, giustizia e bellezza che sono rinchiuse nella realtà.

Scoprire e conoscere il senso è scoprire questa Bellezza con la maiuscola che è contenuta anche in ciò che appare essere deserto e distruzione.

paldo.trento@gmail.com

Foto Ansa

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