
Il coraggio della carità di Gian Paolo Di Raimondo

Qualche giorno fa ho letto del conferimento del titolo di “Cavaliere di Gran Croce” (il massimo ed esclusivo “grado” dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana) a Gian Paolo Di Raimondo, 86 anni pensionato a tutti gli effetti. La mia consueta curiosità mi ha spinto ad entrare dentro la notizia e la sua storia per comprendere le motivazioni che hanno indotto il Presidente Mattarella a conferire la massima onorificenza della Repubblica per premiare le benemerenze di un cittadino non più impegnato in attività professionali.
Gian Paolo Di Raimondo, in passato manager di spicco in Olivetti, poi in Philips e quindi in Siemens, negli anni Ottanta inizia la crociata della “system integration” creando uno dei primi Consorzi, il CISIT e successivamente si impegna con lo sguardo al futuro nella sicurezza informatica – oggi si chiamerebbe cybersecurity – con la presidenza della InfoGard. Nel tempo lo Stato italiano gli ha riconosciuto tutti i gradi dell’Ordine al Merito della Repubblica per il lavoro professionale fino a Grande Ufficiale.
Più ho approfondito la storia di Gian Paolo e più mi è parso evidente che esista uno stile manageriale che possa contemplare e porre in equilibrio cuore e cervello, due ingredienti fondamentali del nostro vivere sociale. Contaminazione virtuosa, la sua, del pensiero di Adriano Olivetti sulla necessità di porre sempre al centro la persona nella sua interezza – e non l’individuo – costruendo un circuito virtuoso con il lavoro, il territorio e la comunità.
Gian Paolo da 15 anni ha deciso di “restituire” e mettere al servizio della comunità e del territorio, attraverso una consolidata collaborazione con le organizzazioni cattoliche, la Caritas e la parrocchia, l’esperienza acquisita come manager con l’imprinting olivettiano nonché le sue capacità organizzative. Non solo teoria, gestione dei processi, il suo è anche un impegno costante “del fare” sul territorio con la volontà dell’ottimismo che caratterizza solo le persone che sanno attuare il cambiamento.
Come operatore della carità partecipa con la Caritas di Roma alle iniziative che, in ambito parrocchiale, sostengono i poveri con la distribuzione diretta di pacchi viveri o il pagamento delle bollette alle famiglie che non ce la fanno a pagarle e iniziative di raccolta per il rifornimento dell’emporio della solidarietà di Roma. Fortemente impegnato sul tema della “donazione” per la divulgazione della raccolta e della donazione del sangue con Avis Roma nonché sulla sensibilizzazione della cultura della donazione degli organi.
In un tempo post-pandemico, di guerra e di profonde difficoltà sociali, dove le polarizzazioni si sono accentuate e nel quale tanto si discute sulla tenuta dello Stato sociale e della necessità di implementare un “welfare state” sostenibile e accessibile a tutti, abbiamo un estremo bisogno di raccontare, valorizzare storie come quella di Gian Paolo, consapevoli che solo attraverso la piena collaborazione tra organizzazioni laiche, cattoliche e lo Stato si possa realizzare la piena inclusione sociale senza lasciare indietro nessuno.
La contaminazione tra generazioni, la capacità di fare rete, condividere competenze, esperienze, è la sola via per fronteggiare oggi – domani già è tardi – un nuovo modo di essere cittadini.
Lo stato ha bisogno di cittadini che restituiscano e che operino per le comunità, di una classe dirigente che sappia dare il senso alle cose importanti, che si metta in gioco davvero con un impegno civile e sociale serio. La vera sfida del nostro tempo è proprio questa: ripensare un tessuto sociale più umano che metta la persona al centro.
Per questo, storie di vita e di carità, come quella di Gian Paolo, meritano una profonda riflessione ed attenzione su come un gesto di cuore possa cambiare la vita intorno a noi.
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