Il Covid e la sindrome di Stoccolma

Di Peppino Zola
09 Dicembre 2020
Oggi, in Italia, mi sembra che molti diano acritico consenso psicologico, culturale e anche affettivo a chi toglie loro la libertà

Caro direttore, desidero esprimerti la totale condivisione del tuo articolo “Meglio sudditi che morti” pubblicato il 5 dicembre e di quello intitolato “Vivi. Né morti, né tantomeno sudditi”, pubblicato il 6 dicembre su Tempi. Totalmente condivisibile è il cercare di distogliere il nostro popolo dalla grave indifferenza rispetto alla tematica della libertà. Anzi, dall’attacco alla libertà che viene portato avanti in vario modo, in nome del “politicamente corretto” e del “pensiero unico” che ne deriva. Ho letto che anche l’amico Giuliano Ferrara ha scritto un pezzo sarcastico in proposito e lo ha intitolato “Elogio della sottomissione”. In questi giorni, ho scritto un post sulla mia Facebook, nel quale ho criticato ampiamente il decreto relativo al divieto di lasciare il proprio Comune nei giorni delle feste cristiane di Natale e di santo Stefano: insieme ai moltissimi consensi, sono stato onorato di alcune critiche che, nella sostanza, affermano che, a causa della pandemia, non è possibile alcuna critica all’attuale Sovrano. Questo atteggiamento, legato alla notizia che la stragrande maggioranza degli italiani (posto che sia vero) sarebbero d’accordo con le attuali misure restrittive, mi ha fatto tornare in mente un pensiero che ho espresso due o tre anni fa a proposito dell’atteggiamento di parte del mondo cattolico. Avevo detto e scritto, allora, che tale mondo mi sembrava afflitto dalla “sindrome di Stoccolma”. Ebbene, ho l’impressione che tale sindrome si stia pericolosamente estendendo anche a parte del popolo italiano come tale.

Su una Wikipedia qualunque, si può leggere che la “sindrome di Stoccolma” (detta così perché studiata dopo una rapina con sequestro avvenuta in una banca della capitale svedese) «è un particolare stato di dipendenza psicologica e/o affettiva che si manifesta in alcuni casi di vittime di episodi di violenza fisica, verbale o psicologica». E si precisa che la persona colpita da tale sindrome «prova un sentimento positivo nei confronti del proprio aggressore che può spingersi fino all’amore e alla totale sottomissione volontaria, instaurando in questo modo una sorta di alleanza e solidarietà tra vittima e carnefice». Mi sono permesso questa citazione, perché mi sembra che essa descriva esattamente ciò che sta avvenendo in molti italiani, sopraffatti dalla “paura” instillata dallo stesso Sovrano. Alcuni (troppi) italiani, in nome della difesa da una pandemia di cui, tra l’altro, si continua a sapere molto poco, sembrano “innamorarsi” di coloro che li costringono in stato di cattività, senza più sapere distinguere tra il dovere civico della necessaria obbedienza ed il diritto alla critica verso tutto ciò che si ritiene ingiusto o, comunque, sbagliato. Mi pare che ci troviamo proprio nella casistica della “sindrome di Stoccolma”. Nel caso della rapina/sequestro nella banca svedese, una sequestrata arrivò addirittura a sposare un sequestratore; in un altro caso, una ricchissima ereditiera partecipò ad una rapina insieme ad un criminale che in precedenza l’aveva sequestrata; recentemente, una giovane volontaria si è convertita alla religione professata da chi l’ha sequestrata per lungo tempo. Potrei segnalare tanti altri casi. Oggi, in Italia, mi sembra, appunto, che molti diano lo stesso acritico consenso psicologico, culturale e anche affettivo a chi toglie loro la libertà ed il benessere economico e mette in pericolo anche la pratica religiosa.

Per uscire dalla sindrome di Stoccolma occorre riappropriarsi della propria identità e, quindi, della propria libertà. In questa opera di recupero, hanno una particolare responsabilità i cattolici, i quali sanno che sarà la verità a rendere libere le persone e non l’acquiescenza conformistica al potere di turno. Chi è affetto da questa sindrome si priva opportunisticamente di un libero giudizio.

Piena solidarietà, quindi, a Tempi, che ha il coraggio di non tacere e di ergersi a difensore della libertà personale e di un intero popolo.

Foto Ansa

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