
Il Decalogo di Kieślowski, il regista ateo che percepiva lo sguardo di Dio

È uscito a luglio, nascosto tra migliaia di titoli. Decalogo di Krzysztof Kieślowski è su Prime Video, a dire il vero in una copia abbastanza orrenda, peraltro solo doppiata: la prima miniserie antologica di sempre, molto prima di Black Mirror tanto per intenderci, che avrebbe bisogno dopo tanti anni di una rispolverata. Un po’ perché il master che abbiamo visto è quello della Vhs degli anni Novanta, ma soprattutto perché un capolavoro del genere andrebbe come minimo restaurato, pubblicizzato, insomma valorizzato.
Erano anni che non lo vedevamo; in televisione ma anche al cinema, dopo un passaggio alla Mostra di Venezia, era girato poco. Certo, questa miniserie, prodotta tra il 1988 e il 1989 per la tv polacca, ha fatto da spartiacque, in televisione, al cinema e anche per quanto riguarda la carriera del regista, il grande Kieślowski che la critica scoprì proprio a partire da questo progetto forse un po’ folle e che poi raggiunse la perfezione stilistica con i tre film sui Tre colori che lo consacrarono.
Per chi scrive, il capolavoro del regista polacco è proprio questo strano progetto: dedicare dieci mediometraggi di un’ora scarsa ciascuno ai dieci comandamenti dandovi un taglio laico e religioso al tempo stesso. Raccontò Kieślowski ad Alberto Crespi in una bella intervista apparsa sull’Unità:
«Io non credo in Dio, ma anche non credendo, ho comunque un rapporto con Lui. […] Certo, per chi crede è tutto molto più semplice ma dovete pensare che i miei film nascono sotto vetro: non ho mai voluto distribuire emozioni, piuttosto Il Decalogo nasce da un equilibrio tra osservazione e affetto per i personaggi».
Per avvicinarsi a quest’opera grandiosa, sconvolgente per certi versi, anticipatrice di un nuovo modo di raccontare la realtà attraverso le immagini, è importante tenere presente questa affermazione. Zero sentimentalismo, solo fatti. Ce lo dice bene il racconto del primo – magnifico – episodio, “Io sono il Signore tuo Dio. Non avrai altro Dio all’infuori di me”. Tremendo sin dal titolo, ha uno svolgimento ancora più crudo.
Tre personaggi in campo: il figlio (o il Figlio?), il padre (o il Padre?) e la zia del ragazzino (la Fede?). Quest’ultima ha la battuta migliore del film. «Che cos’è Dio?», gli chiede questo ragazzino pieno di domande e inquietudine religiosa. La risposta è un grande abbraccio: «Dio è questa cosa», gli sottolinea la donna abbracciandolo. Lei, simbolo della fede, il fratello che invece la fede l’ha perduta, sin da piccolino, quando scoprì che la scienza, la matematica, il calcolo, potevano dargli molte più certezze con i loro schemi implacabili e rassicuranti. Insomma, un figlio perfetto del razionalismo socialista, tanto premuroso e affettuoso nei confronti del figlioletto, quanto chiuso a una dimensione trascendente, perché ciò che conta è il calcolo, la realtà intelligibile e conosciuta.
Colui che spariglia le carte
Così, quando il figlio gli chiede di poter pattinare sul laghetto ghiacciato sotto casa, l’uomo non ha dubbi: puoi andare. Avevano fatto i conti, lui e il figlio. Il ghiaccio non poteva sciogliersi. Non doveva. Poi avviene l’imprevisto e nella scena cruciale, mentre si consuma la Passione del Figlio, è tutto il popolo a inginocchiarsi, tranne lui, freddo, disperato, che resta in piedi, in un grido muto contro il Cielo. Lui che di fronte a tutti quei segni della realtà che presagivano altro, non aveva voluto vedere, nemmeno quella macchia d’inchiostro che aveva cancellato per sempre le sue formule matematiche.
Kieślowski, che racconta e non giudica mai, stando sempre a metri di distanza dai suoi personaggi ma non mancando mai di far sentire il suo affetto, raccontava che c’erano almeno tre modi per interpretare questo Decalogo 1 ricco peraltro di simbologie religiose evidenti come l’acqua e il fuoco: racconto di fede, mi verrebbe da dire alla Flannery O’Connor, ovvero il classico cazzotto che ti dà implacabilmente Dio, Colui che spariglia le carte o, secondo modo, il grido di chi non accetta una dimensione religiosa e si ribella a Lui. Infine un terzo punto di vista, forse rappresentato da un muto personaggio che fa da filo conduttore per quasi tutte le dieci storie, un testimone, un Angelo, chissà: lo sguardo di Dio, compassionevole e fermo, una Presenza insondabile, misteriosa e gigantesca da cui non si può prescindere. Kieślowski ci dice insomma che il problema non è nemmeno credere o no che ci sia, perché Lui viene prima: è una presenza che chiede, spesso brutalmente, un rapporto e tu puoi starci o meno.
Leggo nel bel libretto che Vincent Amiel dedica proprio al regista polacco, Kieślowski. La coscienza dello sguardo (Le Mani, Microart’s edizioni, 1998), che «nel Decalogo questi dieci comandamenti non inducono a nessun comportamento, non emanano norme […] anzi l’oggetto dei film di Kieślowski è tutt’altro, è l’atto di scegliere a costituire indiscutibilmente il tema centrale della sua opera».
Misteriosa e indecifrabile
È affascinante un atteggiamento del genere, soprattutto perché proviene da una figura che non ha mai fatto mistero del proprio rapporto problematico con la Chiesa («da quarant’anni non vado in chiesa», dichiarò in un’intervista all’uscita del Decalogo). Eppure da quest’uomo che disseminava i suoi film di simboli cristiani e non (come dimenticarsi della presenza muta e inquietante dei palazzoni socialisti squadrati e grigi che svettavano più in alto di qualsiasi cattedrale, dove sono ambientate le vicende del Decalogo?), che spesso metteva sullo stesso piano Dio e l’uomo, la fede e il dubbio, nasce «un’opera che rende sensibile allo spettatore la presenza di un’entità superiore che tuttavia rimane misteriosa, impalpabile, indecifrabile» come scrive Chiara Simonigh nel suo La danza dei miseri destini. Il Decalogo di Krysztof Kieślowski (Testo & Immagine, 2000).
Presenza misteriosa, che lascia evidenti tracce nella storia e soprattutto nella tua storia personale e con cui, prima o poi, è inevitabile scontrarsi. Una presenza che ti cambia, che fa a pezzi la tua vita di certezze di credente e di non credente. Uno sguardo sempre fisso su di te: una delle tante chiavi di lettura del Decalogo è proprio la presenza dello sguardo di Dio in film spesso dominati da primi e primissimi piani, anche qui un punto di contatto certamente non voluto ma suggestivo con i racconti della O’Connor. È il volto spesso crudele e selvaggio della Grazia, lo sguardo da cui non si può fuggire e che si fa presente implacabile nella percezione di un Dio severo che tutto osserva silenzioso ma che è anche capace di commuoversi come è evidente nel finale splendido del Decalogo 1.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!