
La preghiera del mattino
Il degrado devastante prodotto dalla pretesa di governare la politica senza gli elettori

Su Open Alessandro D’Amato scrive: «La trattativa tra i partiti per il bis di Draghi va avanti a oltranza. Il tentativo di far partire il dibattito dalla Camera proprio per mostrare subito le divisioni interne tra i grillini non è andato a buon fine. Ora l’ultima chance è l’uscita dei governisti. Il Fatto quotidiano scrive oggi che il salva-Draghi è già pronto. Due ministri sono dati in uscita: Stefano Patuanelli e Fabiana Dadone. Mentre Federico D’Incà, che in questi giorni si è speso in più occasioni per il governo, resterebbe al suo posto. Secondo questo piano l’interim dell’Agricoltura andrebbe al premier, le Politiche giovanili le prenderebbe il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi. Si parla anche di una data del voto prevista per inizio marzo. Un modo per spingere il centrodestra ad accettare il compromesso. Già, il centrodestra. Che vorrebbe andare alle elezioni, possibilmente addossando la colpa ai grillini. Silvio Berlusconi lascia il suo rifugio in Sardegna e convoca una riunione con i suoi nella quale mantiene alta la tensione senza chiudere ufficialmente né in un senso né nell’altro. “Noi chiediamo stabilità per il paese, stabilità che non si può avere con il M5s al governo. La soluzione è o un governo Draghi senza 5s o si va a votare”, fa sapere a riunione in corso il coordinatore di Fi Antonio Tajani. Anche Salvini si tiene in equilibrio tra attestati di stima a Draghi e reprimende al M5s. L’unico ottimista è Matteo Renzi: “Penso che andrà a finire così, che Draghi farà prevalere il senso delle istituzioni e che il finale sarà che Draghi torna a Chigi e Conte torna a casa”».
L’ottima descrizione che Open offre della crisi di governo in atto descrive bene il grado di disgregazione raggiunto dalla democrazia italiana: la soggettività politica è quasi scomparsa, regnano poche scelte tattiche, molte emozioni e soprattutto pressioni tra le quali le più influenti sono quelle internazionali. La società civile e le sue organizzazioni sono nel panico e trasmettono solo questo sentimento. Non si vedono assunzioni di responsabilità, solo la ricerca di qualcuno che risolva i problemi, ma senza una vera responsabilità fondata sul voto dei cittadini. D’altra parte è sempre più evidente come solo interrompendo lo svuotamento della sovranità popolare ci potrebbe essere una chance di risanamento per la nazione. Ma è altrettanto chiaro che le forze (interne e internazionali) che temono la contendibilità del nostro potere politico nazionale, paiono ben più ampie di quelle che cercano un riscatto del sistema democratico.
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Su Huffington Post Italia Marta De Vivo scrive: «Anziché tentare di migliorare la situazione che ho appena descritto, i principali partiti si occupano di twittare slogan e organizzare scissioni. Questo triste scenario non fa ben sperare per le sorti del nostro paese. Ipotizziamo anche che Draghi (come spero) dovesse decidere di restare a Chigi, a fine legislatura si andrà comunque al voto e i principali esponenti politici non mi sembrano pronti per governare il paese, questo è un problema non indifferente».
La De Vivo si rende conto dei limiti di un governo Draghi, ma teme la fragilità dei partiti italiani che comunque non potranno non avere un ruolo nelle prossime elezioni politiche, al più tardi nel maggio-giugno del 2023. Al fondo la De Vivo dovrebbe rendersi conto che quando si semina vento alla fine si raccoglie tempesta. L’idea di Giorgio Napolitano di governare dall’alto la democrazia italiana ha fatto degenerare tutto il sistema dei partiti fino al successo elettorale di un movimento senza proposte e basi razionali come i 5 stelle, al 32 per cento nel 2018. D’altra parte non siamo di fronte a una novità: l’idea di congelare la politica per impedire l’affermazione di partiti che non piacevano ha già condizionata la nostra storia all’inizio del Novecento con i susseguenti terribili risultati che tutti conoscono. I partiti non si rigenerano grazie ai commissariamenti, ma grazie alla lotta politica: l’averla manipolata in questi ultimi dieci-undici anni è la causa della degenerazione in cui viviamo oggi e che potrà essere risanata solo se si ridà una vera base elettorale al potere politico.
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Sulla Zuppa di Porro Corrado Ocone scrive: «Che sessanta deputati abbandonino in poche ore il partito di maggioranza relativa e, fondando un altro gruppo, lo facciano diventare il secondo in Parlamento, non era elemento da ignorare o far passare sotto silenzio da un governo che non è tecnico, come si dice, ma politico a tutti gli effetti sin nella sua composizione. Anche perché con Di Maio sono andati via ministri e sottosegretari, e alcuni di peso. In altri tempi, si sarebbe proceduto subito a un “rimpasto” o ad altre corbellerie del genere, che però permettevano ai vecchi governi di non gettare l’ancora. Qualche “complottista” dice addirittura che ad indirizzare Di Maio siano stati i suggerimenti di Draghi. Il che, ammesso o non concesso fosse vero, sarebbe a dir poco masochistico da parte di un presidente del Consiglio che avrebbe dovuto capire più degli altri che nella situazione data solo il quieta non movere avrebbe potuto tenerlo in sella. Più in particolare, la mossa di Di Maio ha fatto sì che le due principali anime dei Cinque stelle, la “governista” e la “movimentista”, prima costrette a trovare un equilibrio interno prima di riversare le proprie fratture all’esterno e sul governo, ora si confrontino faccia a faccia con Draghi».
Non aver gestito politicamente le dimissioni di Luigi Di Maio rappresenta l’ennesima forzatura procedurale di Sergio Mattarella. Il presidente della Repubblica è senza dubbio uomo di fermi princìpi, ma angosciato dalla crisi italiana continua a prendere decisioni legittime però irrituali e sbagliate, e non si rende conto che con la sua gestione – pur eticamente ispirata – della politica solo “dall’alto” sta degradando la democrazia italiana.
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Su Formiche Marco Mayer scrive: «Con la guerra la situazione cambia ogni giorno ed è bene non essere impulsivi. Per esempio, la campagna elettorale favorisce l’invio di aiuti all’Ucraina, o il tema della fisiologica solidarietà ad un paese aggredito potrebbe diventare oggetto di “travagliate” dispute elettorali e disinformazione?».
Quegli impulsivi dei francesi hanno votato quattro volte qualche mese fa, quegli altri impulsivi degli americani voteranno a novembre per rinnovare metà del Congresso, i superimpulsivi inglesi hanno fatto fuori il premier perché un suo vice toccava il sedere di qualche valletto. Ma l’Italia no, non può andare a votare in tempi di guerra. E, peraltro, anche in tempi di pace si è accuratamente evitato di ascoltare gli elettori quando sarebbe stato necessario, preferendo i pasticci cucinati dall’alto.
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