Storia di una gamba. E dell’uomo più felice del mondo

Di Valerio Pece
06 Agosto 2021
Giuditta Boscagli racconta l'incredibile epopea del nonno Jean, dalla guerra in trincea alla pace di Lecco. Un libro pieno di avventura, colpi di scena, disperazione e rinascita
Protesi in legno per gamba

Protesi in legno per gamba

Giuditta Boscagli ci regala una storia d’altri tempi perfetta per l’oggi. Il suo ultimo libro, Il destino in una gamba (Marcianum Press, 2021), altro non è che l’incredibile epopea di suo nonno, Jean Boscagli, «l’uomo più felice del mondo».

Il protagonista letterario che torna alla mente immergendosi nelle mille peripezie di Jean è il Bardamù del Viaggio al termine della notte. Per entrambi una giostra di colpi di scena, la guerra come sfondo, l’alternanza di ospedali e trincee, il faticoso pellegrinare da città in città. Ma al cinismo cupo del capolavoro di Céline, Giuditta Boscagli risponde con una storia piena di speranza.

Più Bisagno che Bardamù

Suo nonno Giovanni («Mi fa molto ridere sentirmi di nuovo chiamare Giovanni: ormai non so nemmeno più io quale sia il mio nome», scriverà a un certo punto ai suoi genitori) crede fermamente nel «disegno buono» nascosto nella vita di ciascuno, arrivando a ridere in faccia alle (tante) avversità che gli si parano davanti. «Ancora una volta, quel che ai miei occhi era sembrato un ostacolo, si è rivelato un regalo delle Tue mani», in queste parole, pronunciate in una chiesetta di Pescarenico – rione di quella Lecco che è il vero compimento geografico della storia – c’è molto del segreto di Giovanni Boscagli, molto più Bisagno che Bardamù.

Lei borghese, lui spiantato

Copertina di Il destino in una gamba, libro di Giuditta Boscagli sul nonno JeanInvidiabile spessore lo ritroviamo nella fortissima storia d’amore intrecciata con Maria Arrigoni. Un amore che vola alto e che stride con qualsiasi calcolo umano, con il mito dell’estetica, con il terrore del “per sempre” (anche solo per questa sua affascinante inattualità Il destino in una gamba andrebbe fatto leggere). Lui, sergente venuto da lontano, lei, «bella ragazza della media borghesia lecchese». «Eppure – scrive Giuditta Boscagli nel libro – il cuore di Maria era restio a qualunque calcolo del genere e riusciva solo a riconoscere ciò che nel sergente Boscagli le traspariva chiaramente: senza una gamba, spiantato, lontano da casa e senza un soldo… eppure così totalmente corrispondente a quel che lei desiderava».

La quiete prima della tempesta

La trama del libro è degna di un film d’azione. All’inizio troviamo Jean Boscagli giovanissimo cameriere in un hotel di Ostenda. Con due gambe svelte, perfette per il servizio in sala, un clima sereno e mance abbondanti, lavorare all’Hotel La Plage è per il ragazzo fonte di realizzazione. Ma è il 1939, e nubi fosche si addensano sul cielo d’Europa: i più anziani temono che la Germania finisca per invadere il Belgio come vent’anni prima. L’hotel chiude, e Jean, primo di tre figli di emigrati italiani, è costretto a tornare a casa. Se è vero che il rientro a Monaco, «gustandosi quel profumo di casa e di mamma», è una gioia, col passare dei giorni a Jean peserà sempre di più non riuscire a trovare lavoro.

Becera propaganda

Per strada, poi, sempre più spesso viene tacciato di “fascista”: il legame sempre più stretto tra Mussolini e Hitler lo porterà per la prima volta a fare i conti «con una nazionalità che non combaciava con l’unico luogo che per lui era sempre stato “casa”». Succede che la “Casa degli Italiani”, tramite i giornali, invita gli italiani all’estero a «rimpatriare e prendere il posto di lavoro dei connazionali chiamati al fronte». Si trattava, in realtà, solo di propaganda fascista, di un becero tranello che papà Giulio aveva ampiamente intuito. Jean non volle saperne. L’Italia ormai lo aspettava.

Quel «maledetto gesto dell’ombrello»

Da lì, tra incontri e luoghi, una vera odissea. Cattolica, con gli ultimi momenti allegri in un mare in cui «ci si possono bagnare solo le caviglie per chilometri»; Siena, da cui viene espulso per aver rifiutato l’arruolamento (vero scopo nascosto della propaganda di regime); Cosseria, dove lavora come contadino ospite degli zii; Roma, dove con la testardaggine che gli è propria riesce a strappare il sussidio promesso agli emigrati, da Galeazzo Ciano in persona («Ho ricevuto solo false promesse, una serie infinita di diritti millantati e poi negati. So di essere stato insistente […] ma volevo che la mia frustrazione fosse conosciuta da chi può veramente cambiare la mia situazione»); Aosta, dove il distretto militare lo assegnerà al 1° reggimento di Artiglieria alpina; il Montenegro, dove combatterà i partigiani di Tito «che tenevano alta la nomea spietata per cui erano conosciuti». E dove, soprattutto, per via di un «maledetto gesto dell’ombrello» rivolto alle linee nemiche (e l’immediata ritorsione a colpi di mortaio), osserva impotente il suo compagno morire e, insieme, lacerarsi completamente la sua gamba sinistra. Fino a vedersela amputare.

Rinascere dopo il colpo incagliato

Nell’esistenza piena e gagliarda di Giovanni Boscagli, la vera svolta arriverà con il tentativo di suicidio, sventato solo a causa di uno anomalo inceppamento del proiettile. Passare dalla ribellione («Niente ha più senso. Niente di buono potrà più accadere alla mia vita. Sono orribile. Un peso inutile») alla gratitudine («Mio Dio, ti ringrazio con tutto il cuore […] in queste due settimane ti ho soltanto odiato, bestemmiato, rinnegato e allontanato, e invece tu non ti sei mai mosso dal mio letto») attraversando l’incredulità («Com’è possibile che io sia ancora vivo? Ho sparato!») porta Giovanni Boscagli a rinascere. Letteralmente. E perfino a trovare l’amore, che ha il volto di una crocerossina dai capelli «castani e mossi», con «gli occhi svegli e il sorriso accogliente».

«L’uomo più felice del mondo»

Il resto è storia recente. Di nipoti che giocano con «la gamba di scorta del nonno» (la protesi di legno che Giovanni Boscagli conservava nell’armadio) come fosse «la cosa più normale del mondo». La famiglia Boscagli, così com’è oggi, è il frutto dell’epopea descritta nel libro. Epica ma soprattutto risolta e appagante: «Ho una moglie, tre figli, tre nuore, tredici nipoti e sono l’uomo più felice del mondo!», ha ripetuto a tutti fino alla fine. Il senso ultimo (e forse l’unico senso) della trasmissione dell’educazione sta tutto qui. «Una familiarità, una tenerezza e una semplicità di rapporti – scrive Giuditta Boscagli chiudendo il suo bel libro – che hanno accompagnato me, i miei fratelli e i miei cugini negli anni, tanto da farci stimare sempre di più le radici dalle quali proveniamo, permettendoci così di aprirci al mondo intero senza paura».

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