Il dramma (in due lettere) della scuola italiana

Di Luigi Amicone
29 Marzo 2001
Gentile Direttore, dopo alcuni avvenimenti “assurdi” capitati al Liceo scientifico statale Leonardo da Vinci, che ci hanno visti costretti a ritirare nostro figlio dalla scuola, abbiamo deciso di scrivere una lettera...

Gentile Direttore,
dopo alcuni avvenimenti “assurdi” capitati al Liceo scientifico statale Leonardo da Vinci, che ci hanno visti costretti a ritirare nostro figlio dalla scuola, abbiamo deciso di scrivere una lettera (che le alleghiamo) a tutto il consiglio di classe e alla Preside del Leonardo. Gliela mandiamo perchè siamo certi che ne farà “buon uso”, a proposito della situazione scolastica attuale. Suoi affezionati lettori
Alberto Daprà e M. Cristina Foresio Daprà, Milano

«Gentili insegnanti,
abbiamo deciso di scrivervi questa lettera per spiegare i motivi che ci hanno portato alla decisione di chiedere il trasferimento di nostro figlio in un altro istituto, che ha frequentato la quarta C al Leonardo, fino al 7 Marzo 2001. Vorremmo aprire su questi motivi un dibattito che – ci auguriamo – possa far riflettere tutta la comunità scolastica sullo stato drammatico in cui, a nostro avviso, versa questo “glorioso” liceo milanese che sia io, sia mia moglie abbiamo frequentato negli anni ‘70. I primi tre anni di frequenza sono stati vissuti all’insegna della assoluta mediocrità, con risultati scolastici sufficienti, ma con la totale mancanza di stimoli culturali ed educativi, in grado di coinvolgere un ragazzo di 16-17 anni, e di interessarlo in qualche modo, al di fuori della piatta esecuzione del programma. Per quello che ci riguarda, nessun professore, in questi anni è stato in grado di appassionare nostro figlio a qualsiasi materia ed inoltre non vi erano segni di un reale lavoro formativo ed educativo che andasse al di là di qualche compito a casa (pochi), a cui bastava dedicare un’oretta del pomeriggio. All’inizio della quarta, veniamo a sapere casualmente, qualche giorno prima dell’inizio delle lezioni, che la classe frequentata da nostro figlio sarebbe stata smembrata e che sarebbe stato trasferito in una nuova classe. Tutto questo senza che nessun genitore fosse stato in qualche modo avvisato della decisione! (non si pretende di volere discutere le decisioni di Mamma-istituzione, ma almeno essere avvisati…). Qualche giorno fa è successo un ultimo episodio, che ci ha definitivamente convinti della necessità di cambiare istituto. Due ragazzi della classe (tra cui nostro figlio) hanno copiato la traduzione di una versione di latino da un “bigino”, durante un compito in classe, e l’hanno “passata” a quasi tutti gli altri studenti: una classica “cretinata”, che –tra l’altro- aveva ben poche possibilità di non essere scoperta. Di fronte a questo fatto grave, ma non certo sconvolgente (chi non ha mai tentato di copiare una versione di latino… scagli la prima pietra!), la reazione del corpo insegnante è stata, questa sì, a dir poco sconvolgente : in un pubblico dibattito in classe i due malcapitati -rei confessi- sono stati addirittura paragonati a… (tenetevi forte!) i due ragazzi di Novi Ligure, Omar ed Erika, presunti colpevoli dell’assassinio della madre e del fratello! E come se non bastasse, in una assemblea di classe, anche di fronte ai genitori (e senza ovviamente aver prima parlato con i genitori dei due ) è stato posto il “problema morale” ed è continuata l’accusa di menzogna e falsità nei confronti dei due arrivando infine a chiedere il sette in condotta, non l’assegnazione del debito di latino alla fine dell’anno. Di fronte a tale confusione mentale, che a nostro avviso, nasconde una non volontà o non capacità di farsi carico fino in fondo del proprio compito di insegnanti e di educatori, non restava che cercare per nostro figlio una scuola che fosse in grado di impegnarlo seriamente in un lavoro, correggendo tutte le possibili mancanze, evitando di prendere “fischi per fiaschi”. E così, nostro figlio, si è aggiunto agli altri due della classe che, dall’inizio dell’anno scolastico, avevano già cambiato istituto, proseguendo l’emorragia continua in questi anni al Leonardo (ed in molte altre scuole statali) segno inequivocabile della sempre maggiore difficoltà della scuola a dare una risposta efficace al bisogno formativo ed educativo dei ragazzi del terzo millennio.
Distinti Saluti, Alberto e Cristina Daprà»

Carissimo Direttore,
ho letto sul Corriere della Sera di ieri le parole del Ministro De Mauro che commentano la tragedia di Legnago. «Neppure la mia stanza del ministero è a norma» ci fa sapere, ed aggiunge: «Nel palazzone di via Trastevere c’è ancora molto da fare. E ci vorranno anni, perché l’edificio è enorme». Più avanti l’articolista ci informa che 6 scuole su 10 in Italia non sono fornite di impianti antincendio; nel suo complesso il tono dell’articolo appare piuttosto rassegnato: perché tutte le scuole italiane attuino la normativa sulla sicurezza ci vorrà ancora molto ma molto tempo. Mi preme informare il lettore del suo giornale che esiste una categoria di scuole che non può permettersi di non essere puntuale nell’applicazione delle norme, pena la chiusura immediata: è la categoria delle “scuole non statali senza santi in Paradiso”. Sono Preside di un Liceo non Statale gestito da una cooperativa di imprenditori; in 11 anni – da quando la scuola esiste – abbiamo ricevuto una media di due o tre visite rispettive all’anno; la gran parte degli ispettori inviati dal Ministero o dalla Sovrintendenza regionale ha svolto il proprio lavoro con grande professionalità, individuando anche lacune nella gestione del nostro edificio scolastico ed imponendoci giustamente di colmarle. Più d’uno invece c’ha passato letteralmente al setaccio, col dichiarato intento di coglierci in fallo, contestandoci cose incredibili, dall’“assenza dello spogliatoio per insegnanti” alla “mancanza dei servizi igienici riservati per il Preside” fino alla necessità di pareti REI 120, con relative porte tagliafuoco, per un laboratorio scientifico che non contiene marchingegni più pericolosi della cucina di casa mia. Tutte cose in qualche modo previste dalla normativa ma assolutamente eccesive se valutate con un minimo di realismo. Ad un ispettore ho fatto osservare che nessuna delle scuole statali della zona rispettava gli adempimenti che a noi stava imponendo e che molte presentavano lacune cento volte più gravi in ordine alla sicurezza; mi ha risposto con un sorriso serafico: «Non vorrà che ci mettiamo a chiudere le nostre scuole!» Un altro, di fronte alla medesima osservazione, è stato molto più esplicito: «Caro Preside, lei sa bene che la normativa è tale da consentirci di ordinare la chiusura di qualunque scuola, come e quando vogliamo; voi non avete santi in Paradiso ed avete nemici molto potenti: dovete rassegnarvi». Morale della vicenda: il Signor Ministro deve sapere che se nemmeno il suo ufficio è a norma non è certo questione di dimensioni del palazzone; due sono gli ostacoli all’attuazione della normativa sulla sicurezza nelle scuole italiane: i troppi santi in Paradiso e le leggi troppo complicate.
Francesco Viganò, Preside Liceo Don Gnocchi, Carate Brianza (Mi)

IL DIRETTORE RISPONDE

Già, “il problema morale”. Viviamo in un paese talmente stregato dai cosiddetti “moralizzatori”, che non c’è argomento di cui si senta parlare che non tiri in ballo “il problema morale”. E intanto c’è una magistratura che blocca tutto ma non risponde mai di niente (sebbene il popolo italiano abbia votato un referendum sulla responsabilità civile dei giudici) e c’è un governo che non riesce nemmeno a far pulire paesi e città seppelliti dalla spazzatura. Ed ecco qui accanto la storia minima, ma emblematica, di un compito in classe copiato che diventa l’apriti cielo per una predica professorale che finisce con l’equiparazione di un bigino col coltello di Novi Ligure. D’accordo, una battuta infelice resta un battuta infelice. Ma quanti anni di “mediocrità e assenza di stimoli culturali ed educativi” preparano il terreno alla sciatteria con cui si arriva a trattare i ragazzi con male parole come quelle uscite dalla bocca di insegnanti di un liceo statale milanese, per altro non privo di pedigree altolocato? Oltre alla stupidità – il più incurabile dei mali – evidentemente ci dev’essere qualche altra ragione, diciamo così, “strutturale”, che favorisce l’inaridirsi della sorgente che un tempo sgorgava dal mondo della scuola, il cui termometro di vivacità e utilità è sempre stato offerto dalla qualità delle relazioni tra studenti e prof. Una risposta la suggerisce il preside del Liceo privato Don Gnocchi: i professori sono talmente stressati dalle adempienze richieste dalle articolazioni di comando della burocrazia statale, che non hanno più il tempo di guardare in faccia i loro ragazzi. Però hanno il problema di farsi trovare in “regola” quando arriva l’Ispettore Generale. Ma il nostro Preside fa capire anche di più: fa capire perché in Italia la scuola di Stato è di matrice cubana e perché, quindi, ci sono meno scuole private in Italia che in Costa d’Avorio. Ci siamo informati, il Liceo don Gnocchi ha aperto i battenti dieci anni fa con meno di una dozzina di iscritti, oggi è frequentato da 500 studenti e deve rifiutarne altrettanti perché non sa dove metterli. Quanti licei ci sono nelle condizioni del Don Gnocchi? Quanti professori vorrebbero essere messi nella condizione di fare il loro mestiere e non quello di sorvegliati speciali dei “commissari moralizzatori” del Ministero o della Cgil? Ecco perché la prima immoralità è il monopolio statale dell’istruzione pubblica. Scusate se copiamo da un insegnante che ha speso la vita per tirar grandi migliaia di giovani e che una volta scrisse anche all’ex premier Massimo D’Alema: «fateci andare in giro nudi, ma lasciateci la libertà di educare».

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