Il dubbio di un amico

Di Bugliani Vincenzo
12 Maggio 1999
Il leader dei Verdi a Firenze, documenta uno stato d’animo in seno alla sinistra. Ha senso parlare di “ingerenza umanitaria” quando si scende in guerra?

Un amico di Rifondazione mi dice: “Per salvare i bambini Kosovari le bombe Nato ammazzano altri bambini, anche kosovari”. A me le bombe erano parse “giuste” come unico rimedio, anche se compromesso perché tardivo, per fermare le schifezze del regime di Milosevic nel Kosovo. Naturalmente, si sperava che le bombe, oltre che “giuste”, fossero anche “intelligenti” e non cadessero sui civili. Era comunque certo che non potevano colpire i diretti esecutori delle atrocità. E così ad ogni errore si accrescono i dubbi (ma si tende anche a farci il callo) e ci si solleva ai minimi spiragli che fanno sperare vicina la fine dei bombardamenti. E intanto la buona coscienza chiede il massimo di aiuto ai profughi e l’allargamento dell’accoglienza a casa nostra. Non è in questione l’uso della forza militare per ridurre alla ragione, per lo meno nell’immediato, i malvagi, ben sapendo che tutti i popoli possono esserlo e che le vittime di oggi potrebbero diventare carnefici domani e che armi “giuste” possono essere impugnate da mani per altri versi o in altro momento ingiuste. Un prete fiorentino, don Dino Barsotti, scrive in questi giorni: “Noi cristiani dobbiamo stare attenti a non ingannare il mondo parlando di pace. Le guerre non finiranno”. Il secolo nostro, più di tutti i precedenti, non consente illusioni. La nostra specie ha in sé la follia della libertà, fino all’autodistruzione e alla distruzione del pianeta. Non c’è stato nessun progresso, se non forse nella consapevolezza della nostra tragedia. Non c’è sviluppo storico, ma un eterno presente. Sono progrediti solo i mezzi della distruzione. Se è vero che le guerre non finiranno, possiamo impegnarci a contrastare, coi mezzi che abbiamo, il malvagio di turno a difesa delle vittime di turno, senza presumere di salvare il mondo e di uscire dall’eterno presente, sapendo oltretutto che i risultati delle nostre azioni sono imprevedibili o quasi. Se Milosevic in qualche modo cedesse prima che l’intervento passi a misure più gravi? Rimarrebbe, oltre il resto, un carico di odio serbo per curare il quale dovremmo mettere in opera responsabili misure, insieme con le opere di ricostruzione e cooperazione. Mi ricordo che mia madre non si convinse mai della “giustizia” delle bombe e granate angloamericane che caddero sulla nostra casa e sulle nostre persone.

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