
IL FUTURO DELL’ITALIA? STA A LONDRA
È stata varata la manovra finanziaria eccezionale per risparmiare 7,5 miliardi di euro ed evitare il superamento del 3% nel rapporto tra deficit e pil nel 2005. Non mancano, nel quadro di questo provvedimento, confusione ed errori, come la tassazione sulle fondazioni bancarie, che toglierà ossigeno alle realtà non profit. Purtroppo, però, le divisioni nella maggioranza e la debolezza culturale di una parte dei suoi esponenti non riescono a spiegare quale sia il vero contrasto di fondo dietro alla proposta di ridurre le tasse e di operare tagli consistenti alla spesa pubblica. Soprattutto, le forze più estremiste dell’opposizione tendono a far credere che tutto il problema consista nel tentativo del governo di penalizzare i più deboli. Il vero dramma infatti sta qui: proprio l’azione di molte forze politiche di entrambi gli schieramenti, non è volta a difendere i più deboli, ma a tutelare le posizioni di privilegio di molte corporazioni. Oppure chi vuole difendere i più deboli pensa di farlo semplicemente trasferendo denaro pubblico.
Si tratta di una ben precisa filosofia, quella statalista (teorizzata dalla sinistra, ma ben accetta anche da una certa destra), secondo cui per garantire il welfare nel lungo periodo bisogna usare i trasferimenti di Stato, Regioni ed enti locali.
Ma l’unica alternativa a questo sistema può essere rappresentata dal liberismo selvaggio? Assolutamente no. E lo dimostra la vera sinistra moderna, quella di Tony Blair: infischiandosene anche della propria rielezione, il primo ministro inglese ha deciso, seguendo le teorie economiche moderne, di sostituire la politica sociale della redistribuzione del reddito con una politica a sostegno del capitale umano, volta a incentivare l’acquisizione di conoscenze e migliori condizioni di vita per cittadini e imprenditori resi responsabili delle proprie scelte.
Questo sistema sostituisce i trasferimenti a pioggia (mediati da organizzazioni che difendono i loro accoliti) con finanziamenti legati alla capacità di ottenere risultati e permette agli utenti di scegliere gli erogatori dei servizi alla persona (istruzione, sanità, assistenza) e di pubblica utilità (energia, gas, acqua) più efficaci ed equi. Lo stesso discorso potrebbe valere anche per i finanziamenti alle imprese: in virtù di un vecchio pregiudizio per cui le Pmi non sono efficienti, si finisce per non aiutare le imprese più innovative che investono in ricerca e in capitale umano.
È chiaro che questa politica rivoluzionerebbe le rappresentanze sociali e costituirebbe la base per una vera nuova Repubblica italiana.
Resta a noi dire che certe prese di posizione nella maggioranza sono invece retaggi della Prima Repubblica e certe opposizioni di partiti e forze sociali e sindacali sono solo cortine fumogene per evitare il cambiamento.
*Presidente Fondazione per la Sussidiarietà
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