
Il gelsomino e il suo profumo che mi spinge a rinascere dopo un cupo, interminabile inverno

È stato per me un cupo, interminabile inverno. E quando infine la primavera si è affacciata, ho imparato come si fa in fretta a morire, e quanto, davvero, siamo polvere. Sbalordita ho assistito a una malattia veloce come una rapina, e in pochissime settimane non c’è stato, per quell’uomo a me caro, più né la crisi, né Grillo, né Renzi – ma solo un nome su una lapide.
E sono rimasta senza parole e senza desideri, ombrosa come un animale spaventato; e mi sono detta, ora ho capito come funziona la vita, quando si invecchia. Ma stamattina sono uscita presto, e fuori dal portone mi ha avvolto improvvisa una folata di profumo di gelsomino. Sì, la mia strada sapeva di gelsomino (quello del pergolato del ristorante accanto a casa, candido e splendente, come se il mondo stamattina fosse bambino).
E la luce? La luce di questa mattina limpida di vento, così chiara, che penetra dalle finestre e fa brillare vecchi soprammobili polverosi in stanze spente. La luce che attraversa le foglie acerbe degli alberi, forzandone le chiome, spuntando in raggi che sembrano ondeggiare nel vento. In una mattina di maggio come questa tutto sembra nuovo, tutto pare – dopo l’inverno sordo e grigio – ansioso di ricominciare. E noi camminiamo per strada distratti, come se non accadesse niente; eppure opera l’antico, puntuale incantesimo, che ci spinge ancora una volta a rinascere.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!