Il giorno in cui Karen Blixen rapì l’anima dell’Africa

Voleva fare «il canto del cigno del mondo indigeno», scrivere per risalire a prima dello scritto, al racconto che resiste al libro dei conti. Ma tutto comincia in leggenda e finisce in letteratura

Ancora una volta i giornalisti lasciano il cortile di Rungstedlund. Mettono via i bloc notes, le macchine fotografiche, i registratori. Non li hanno dovuti usare. Ancora una volta la “baronessa Blixen” non ha vinto il premio Nobel per la letteratura. È sempre sulla lista, ma solo per essere eliminata ogni volta.
Eppure due anni fa, nel suo discorso di accettazione, Hemingway ha detto: «Sarei stato più contento se questo premio fosse stato attribuito alla magnifica scrittrice Dinesen» [così la chiamano in America, non è uno pseudonimo ma il suo nome da ragazza, ndr]. Questo omaggio da parte di un autore che ammira, in questa forma, sulle ali fuggitive della parola e non inciso nel marmo, non è meglio della decisione di una giuria?

Conosce bene il rovescio di tutti i certificati. Non voleva scrivere. Raccontare storie, sì, rinnovare il mito davanti all’uditorio di una sera, intorno al fuoco, con le sfumature impreviste della voce che si ri...

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