
Il grande Centro
Il giorno dell’elezione presidenziale si sta avvicinando e ancora nessun candidato è così in vantaggio da poter esser certo della vittoria. Il primo e più atteso dibattito televisivo tra il vice-presidente Al Gore e il Governatore del Texas George Bush si è concluso secondo molti osservatori con un pareggio. Gore sembra essere consapevole che in effetti sugli elettori indecisi Bush è avvantaggiato dalla sua immagine da “americano comune” e perciò ha cercato di evitare ogni impressione di disprezzo nei confronti di un avversario di così poca esperienza. Una tattica che però ha finito per favorire Bush, apparso come un candidato più credibile che può permettersi di sfidare un vice-Presidente con un’enorme esperienza di politica interna ed internazionale, una persona che spesso sembra una sorta di enciclopedia viaggiante di fatti e personaggi. Il dibattito tra i due candidati alla vice-presidenza è stato invece del tutto diverso. Effettivamente sembrava di assistere a un seminario accademico piuttosto che a un confronto politico. Se si potesse parlare di un vincitore, forse si potrebbe indicare Lieberman, solo perché come personaggio è più interessante, il primo ebreo ad essere in lizza per un incarico così importante (e molti commentatori hanno osservato che Lieberman e Cheney sono apparsi comunque candidati migliori per la presidenza di Bush e Gore). Ad ogni modo, la campagna elettorale fino ad oggi conferma che la politica americana continua ad essere più un problema di interessi concreti che un confronto ideologico o culturale. Gli americani vedono nel governo un mezzo per “distribuire i beni” a cui essi hanno diritto. Ciò che li convince a cambiare preferenza è vedere che chi è stato eletto non lavora efficacemente come distributore di questi beni. Il risultato è che la preoccupazione principale è l’efficienza, non l’ideologia politica. Se Bush vuole vincere, deve riuscire a convincere i “votanti medi” (i bianchi della classe media) di essere capace di costruire un’organizzazione più efficiente di Gore, cioè di essere un manager migliore. Gli argomenti che vanno oltre le preoccupazioni pratiche e manageriali per attingere all’ideologia politica sono già stati discussi. I Conservatori voteranno Bush perché non c’è nessun altro uomo col quale hanno speranza di vincere e i Liberali voteranno Gore per la stessa ragione. A questo punto della campagna elettorale, i candidati sembrano poter bene o male dare per scontata la propria “base ideologica” e devono anzi cercare di fare una buona impressione sugli indecisi minimizzando l’importanza dell’ideologia politica. Nel dibattito presidenziale, quando gli hanno chiesto la sua posizione in merito alla somministrazione della “pillola del giorno dopo”, Bush ha insistito sul fatto che, sebbene egli sia personalmente contrario, un Presidente non potrebbe comunque fare molto in proposito. Gli elettori pro-aborto non devono cioè preoccuparsi delle convinzioni di Bush poiché, anche nel decidere le nomine alla Corte Suprema, non chiederebbe ai candidati di opporsi alla decisione Roe vs. Wade che ha proclamato il diritto all’aborto come costituzionale. In apparenza Bush sembra abbastanza fiducioso di non essere abbandonato dai conservatori pro-life. Nel dibattito fra i candidati alla vice-presidenza, il Repubblicano Richard Cheney, interrogato in merito ai matrimoni dei gay, ha sbalordito e fatto imbufalire i conservatori religiosi e gli intellettuali spingendosi ben oltre le necessità del dialogo e della tolleranza, fino a sostenere che ogni singolo stato, per essere “conciliante”, dovrebbe scegliere di legalizzare i matrimoni fra gay. Al contrario, il Democratico Lieberman ha affermato di essere contrario alle unioni gay. È evidente come sia Bush che Gore, che devono aver apprezzato queste risposte, siano completamente certi di avere ciascuno basi ideologiche sufficientemente chiare e che l’esito delle elezioni sarà deciso dai voti dei pragmatici. La prevalenza di preoccupazioni pratiche e pragmatiche sull’ideologia è stato chiaramente un elemento a vantaggio della capacità americana di abbracciare un gruppo estremamente variegato di differenti culture, religioni, razze e gruppi etnici. In questa situazione, i cattolici che sostengono quelle politiche coerenti con la propria visione della realtà, non solo devono essere capaci di mostrare a tutti che non intendono promuovere una ideologia politica, ma azioni che corrispondono perfettamente all’ideale americano della libertà dall’ideologia; devono anche mostrare che riconoscono e stimano questa intuizione perché seguendo Cristo hanno trovato la libertà definitiva dalle ideologie.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!