
Il grande gigante buono
«Non sarà il tentativo di una multinazionale di ripulirsi l’anima ipercapitalista, finanziando attività sociali, ma senza crederci?». Non fa mistero Mirella Savegnago, direttore generale di Arché, l’associazione che dall’89 assiste minori sieropositivi, di aver pensato all’eventualità che “le colpe dei padri potessero ricadere sui figli”, quel giorno che Coca-Cola Hbc Italia, il più importante produttore e distributore di prodotti della The Coca-Cola Company nel nostro paese, le propose l’inizio di un cammino insieme. «Oggi, quello che possiamo dire è che abbiamo conosciuto una multinazionale, oggetto di critica diffusa, che si è dotata di strutture e risorse per occuparsi non solo di profitto, ma anche del benessere del territorio nel quale è inserita. Una realtà che non ci ha richiesto nessun tornaconto in termini di immagine o dichiarazioni. Una realtà che vuole essere partner di sviluppo: per una visione della società più vivibile, equa, umana, in cui la solidarietà diventi una condizione del vivere quotidiano, non una elargizione». Questa e analoghe testimonianze sono riportate in appendice a un opuscolo: portano le firme dell’Associazione per il Bambino in ospedale, della Città dei Ragazzi e di San Patrignano, dei sindaci di Gaglianico (Bi), Corfinio (Aq), Oricola (Aq) e Nogara (Vr), i «sindaci della Coca-Cola», come sono chiamati da quando i loro comuni ospitano le unità produttive di Coca-Cola Hbc nel nostro paese.
In appendice, quasi nascoste. Perché l’opuscolo in questione è il Rapporto Socio-Ambientale 2006 di Coca-Cola Hbc Italia, l’azienda “italiana doc” (oltre il 70 per cento delle materie che utilizza proviene dal nostro territorio e il suo General Manager, dopo dieci anni di “stranieri”, è italiano e si chiama Dario Rinero) che negli ultimi tre anni ha implementato il corporate giving annuale del 20 per cento (circa 800 mila euro). Ma senza raccontarlo, perché «le buone azioni non si pubblicizzano» taglia corto Alessandro Magnoni, Direttore Affari Generali di Coca-Cola Hbc Italia, uno che si farebbe strozzare piuttosto che battere la grancassa delle donazioni. «Non lavoriamo coi megafoni, perché l’umiltà è il presupposto della serietà. Non si fa dell’impegno sociale un cavallo di battaglia». Difficile però non pensare che oltre ad acqua, zucchero, anidride carbonica e “fattore 7x”, la formula segreta della Coca-Cola passi attraverso la capacità di un’attrattiva che dell’incorporeità delle bollicine ha poco. Leggi che Coca-Cola Hbc Italia è al terzo posto della classifica nazionale dei migliori ambienti di lavoro stilata da Great Place to Work Institute Italia. Che il 65 per cento dei dipendenti ha meno di 40 anni. Che il Gruppo nel 2006 si è guadagnato titoli di “azienda che ispira”, “best employer partner”, “luogo di lavoro più ambito”, “investor in environment” in Ucraina, Croazia, Bulgaria, Serbia, Irlanda, Polonia, solo alcuni dei 28 paesi dove opera servendo 1 milione e 400 mila clienti e oltre 500 milioni di consumatori finali.
È pensando a questi ultimi che nel 2003 Coca-Cola Hbc Italia ha deciso che «un’azienda amica è un’azienda che ha il coraggio di rendicontare quello che sta facendo e come lo sta facendo». Detto e fatto, ecco nascere uno strumento che insieme al resoconto delle attività sul fronte workplace, environment, marketplace e community, restituisce la fotografia di un’azienda che dell’orco vessatore non ha nulla.
L’attenzione all’ambiente
«Creare posti di lavoro apprezzati è un obiettivo ambizioso quando l’ambiente di lavoro è, per 1.300 venditori dei nostri 3 mila dipendenti, un’autovettura, ma l’abbiamo portato a casa. Abbiamo investito nel restyling del sito, nel trimestrale InWave, un “best in class magazine” come lo chiamano alcuni giornalisti, e siamo stati i primi a dotarci di tv aziendale, la Coke tv». Tutto mentre sul fronte mercato Coca-Cola Hbc Italia ampliava il ventaglio di prodotti per venire incontro a un consumo diverso dai core beverage (Coca-Cola, Fanta, Sprite) e a una corretta nutrizione (con le bevande piatte, il tè, i succhi, le bevande “zero”, light e ora, con l’acquisizione di Fonti del Vulture, anche le acque).
E siccome all’Hbc Italia si lavora all’insegna di “fatti, non parole”, l’azienda si è “autodisciplinata” adottando il Codice per l’Autoregolamentazione delle Attività di Promozione e Commercializzazione dei prodotti del settore siglato da Assobibe: «Abbiamo eliminato le pratiche di vendita all’interno di istituti scolastici, attuando una campagna per chiedere ai nostri clienti, proprietari di distributori nelle scuole, di adeguarsi alla nostra linea, limitandoci a una serie di attività di comunicazione “nero su bianco”, apponendo le gda su ogni prodotto e senza investire in programmi o siti che possano avere rilevanza nei confronti dei minori».
Ma è sull’ambiente che Coca-Cola Hbc ha superato gli obiettivi volti alla riduzione dei consumi di acqua ed energia, all’implementazione del riciclaggio dei rifiuti e del riutilizzo delle acque piovane. Complici i corsi di formazione all’interno delle sedi italiane «abbiamo portato da 2 a 1,8 litri il consumo di acqua per litro di bevanda, un quantitativo comprensivo delle operazioni di sterilizzazione dei contenitori e della dose di liquido necessaria alla bevanda. E in questo caso non abbiamo escluso dalle campagne di informazione i ragazzi, anzi: a partire dallo scorso 13 settembre sui banchi di 150 mila studenti del Veneto è stato distribuito un libretto realizzato con la fondazione Aida e patrocinato dalla Regione. È la storia di quattro ragazzini alle prese con Il mistero dell’acqua scomparsa, un modo simpatico di educare i minori al consumo consapevole di una fonte primaria. E stiamo lavorando col ministero delle Politiche agricole per costruire nel parco nazionale della Maiella la “tana” interattiva della lontra, un animale in via d’estinzione emblematico del rapporto tra fauna e presenza d’acqua nel nostro paese». Il progetto ha già convinto quegli ambientalisti che anche dopo la pubblicazione del pamphlet realizzato da Coca-Cola Hbc Italia in partnership con l’Eni – 24 consigli per diminuire fino al 30 per cento i consumi di energia -, ostentavano ancora perplessità.
Fatti, non “straparlare”
Ma all’Hbc Italia sono fatti così: nel 2006 hanno approvvigionato le case di accoglienza di Arché e finanziato le vacanze estive di 30 bambini; hanno redatto opuscoli per facilitare la degenza dei piccoli ricoverati dell’Abio; finanziato la manutenzione dell’aula di informatica della Città dei Ragazzi e borse di studio per San Patrignano. Hanno acquistato attrezzature destinate alle attività sportive delle comunità locali, aperto gli stabilimenti al pubblico (11 mila presenze nel 2006), organizzato attività culturali e campus per i figli dei dipendenti, master con università, survey tra associazioni dei consumatori ed esponenti dei media. E, nonostante tutto ciò non sia stato sbandierato sui giornali, i consumi sono aumentati: «Coca-Cola Hbc e i suoi brand sono amati indipendentemente dal pregiudizio che la storia dei grandi marchi porta con sé. La verità è che i preconcetti-macigno aiutano a responsabilizzarsi. E a non straparlare. Perché quello che promettiamo lo manteniamo sempre. E a noi piace venire giudicati per quello che facciamo».
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!