«La notte, in una stanza dai letti affiancati persa nel nirvana del Delta, sogno Giovannino. È vestito alla sua maniera col giaccone di velluto e la camicia a quadri, il volto improntato a un’espressione impenetrabile come quella che sfoggia sull’aletta di Don Camillo e il suo gregge; non si capisce se sia accigliato senz’ombra di ironia, se voglia recitare da tenebroso per apparire seducente, o se, più semplicemente, si ritrovi abbagliato dal sole diretto. Il Nostro, scrutandomi a quella maniera, liscia le estremità dei baffi floridi tra l’indice e il pollice, poi si schiarisce la voce e dice in tono profondo: “A quanto pare, ormai ci siamo”. “Dove?”, domando intimorito, e quello ora mi rivolge un sorriso amaro. “Dove vanno a finire tutti i fiumi”, sospira. “È qui che muore anche il mio”. Poi aggrotta le sopracciglia e nota severo: “A quanto pare, non ti sei fatto una grande idea di me”. “Un attimo”, reclamo. Vorrei dirgli qualcosa di sensato...
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