
IL LAVORATORE NON è SOLO MANODOPERA
Se Atene piange Sparta non ride. Spesso l’approccio di parte del mondo padronale e manageriale al tema del lavoro non è equilibrato.
Il problema sta nell’incapacità di considerare gli uomini nella loro integralità. Michelin, il grande imprenditore francese, ha voluto che il titolo del suo incontro al Meeting fosse “L’uomo è una risorsa”. In tal modo ha mostrato implicitamente l’ambiguità profonda di quell’approccio alla risorsa umana in cui l’aspetto “spirituale” del lavoratore è considerato solo in modo strumentale, per aumentarne la resa. Proliferano uffici del personale, società di consulenza, orientatori e cacciatori di teste che, figli di psicologismi e sociologismi materialisti, mettono l’uomo sotto l’alambicco sezionandolo bisecandolo per finalizzarlo il più possibile all’azienda. Vi sono purtroppo anche imprenditori disposti a fare incestuosi inciuci con quei pezzi di sindacato che vogliono mantenere il controllo su gruppi di lavoratori per dividersi i soldi necessari a mantenere in vita grandi imprese obsolete a cogestire programmi di formazione fantasma, a farsi finanziare casse integrazioni necessarie per mantenere in vita imprese decotte. Sono i nemici di una flessibilità ragionata che governi il passaggio dal posto al percorso, caratteristica necessaria nel nuovo mercato del lavoro. Sono quelli che hanno limitato e limitano l’interinale, che ostacolano forme di lavoro atipico, che demonizzano i co.co.co. indispensabili per far emergere il lavoro nero, per permettere l’assunzione continuativa di molti giovani, per consentire a molte piccole aziende di assumere laddove non avrebbero potuto. Chi ragiona così, nella sua pretesa egemonica, ostacola anche la partecipazione di nuovi soggetti sociali nati fra la gente ad agenzie non profit per il collocamento, per l’orientamento, per la formazione professionale. Questi manager e questi imprenditori, non capendo l’utilità di una flessibilità governata, sono i responsabili dell’esclusione dal mercato del lavoro delle fasce più deboli: giovani, donne, disoccupati di una certa età. Perché tutto ciò? Cosa accomuna gli psicologismi di certe società di selezione e i nostalgici del mercato del lavoro rigido governato da patti di potere tra sindacati e associazioni imprenditoriali? L’incapacità a capire e ad amare il singolo uomo in tutti i suoi fattori. Considerando l’uomo solo come risorsa aziendale e come numero in una massa non capiscono che è un io desideroso di felicità. E non si alleano con lui per pensare quale sia il percorso migliore in un mercato del lavoro flessibile e governato. Allearsi con tutto l’uomo, fidelizzarlo all’azienda per sua libera scelta, desiderare la sua crescita umana e professionale integrale, lottare parimenti contro la disoccupazione e la rigidità del lavoro, sarebbe molto più intelligente e conveniente. Ma di questo parleremo nella prossima puntata.
(Seconda parte – Continua)
*Presidente Fondazione per la Sussidiarietà
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