
IL LAVORO AL TEMPO DELL’ECONOMIA GLOBAL
Sembrano oggi esserci due modi perversi di parlare di lavoro e di mercato del lavoro: uno filo-operaista, l’altro veterocapitalista. In questa sede accennerò al primo e terminerò di sviluppare le argomentazioni rimanenti nei prossimi due numeri.
Il veterosindacalismo si muove nel mercato del lavoro, più o meno con le seguenti domande: come ci si può dividere la torta, ovvero come si può spolpare meglio l’azienda? Come avere condizioni sempre più favorevoli per i lavoratori sotto il profilo contrattuale?
è una mentalità che crede ancora nella lotta di classe ottocentesca, pur mascherata. Invece di riconoscere la globalizzazione come un fatto incontrovertibile e, quindi, da studiare e governare, si pensa semplicemente di poterla estirpare o ignorare, proprio come fecero i luddisti con le macchine nell’Ottocento. Così si è incapaci di leggere un pezzo di realtà che è fondamentale per conoscere e agire nel nostro mercato del lavoro.
La globalizzazione coinvolge molti paesi che vogliono accrescere il loro sviluppo, come India, Cina, Brasile, Corea, Turchia. In quei paesi si sviluppano imprese che sostengono costi e condizioni di lavoro infinitamente più favorevoli di quelli delle aziende italiane ed europee. Non sono solo multinazionali americane che fanno lavorare bambini in modo illegale. Ci sono governi, spesso ufficialmente di sinistra, che si alleano alla luce del sole con le multinazionali, pur di avere i loro insediamenti produttivi. Ci sono imprese private e di Stato di questi paesi che sono protagoniste della globalizzazione (e spesso violano i diritti più elementari dei lavoratori più delle multinazionali). Ci sono persone che preferiscono una paga 10 volte inferiore a quella europea piuttosto che la disoccupazione totale e la fame.
Non è questa la sede per parlare della fondamentale necessità di governare e correggere la globalizzazione, invece di demonizzarla ipotizzando mondi irreali. In questa sede è importante rilevare che il costo del lavoro e le condizioni contrattuali in un’economia globalizzata non sono più una variabile esclusivamente dipendente dalla ”lotta di classe” nazionale e occidentale. Sono piuttosto in buona parte una variabile indipendente al pari del costo delle materie prime. E allora non si può più contrattare come prima: occorre tener presente questa situazione internazionale, pena il fallimento dell’azienda dove si lavora. Anche perché (e questo è il paradosso), questa situazione è a vantaggio non solo dei capitalisti internazionali, ma anche dei sottoproletari del Terzo mondo che stanno riguadagnando quote di reddito rispetto ai loro più fortunati compagni occidentali. Quando mai questa considerazione è tenuta presente nelle trattative salariali che sembrano, in molti casi, lotte dei garantiti a detrimento dei vinti, italiani e stranieri?
(Continua)
*Presidente Fondazione per la Sussidiarietà
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