Il mio primo meeting

Di Scroppo Erica
02 Settembre 2004
A Torino dove ho studiato, insegnato, fatto politica fino al ’79, non avevo mai incontrato ciellini.

A Torino dove ho studiato, insegnato, fatto politica fino al ’79, non avevo mai incontrato ciellini. Quando il movimento crebbe e il Meeting si ingrandì di anno in anno ne sentii parlare come di talebani nostrani ottusi e chiusi. Il che contrastava con il grande raduno di cui leggevo sui giornali, grazie a cui rubavano la scena per un’intera settimana; come facevano a essere nemici del nuovo e del diverso e invitare politici, uomini e donne di cultura, di scienza, di spettacolo, spesso con idee opposte alle loro?
Sui ciellini mi sono ricreduta incontrando l’allegra combriccola di Tempi – un cattolicesimo felice e divertito, non sofferto e macilento – e la fertile collaborazione con la rivista ne è testimone. Ora sono venuta a Rimini, accettando con curiosità e interesse la full immersion offertami. Il primo pensiero è stato per i festival nazionali dell’Unità di 25-30 anni fa, all’apogeo della potenza del Gran Partito. Però a parte le ovvie analogie di dibattiti e cibo e folla, l’atmosfera è molto diversa e ancor più diversi i punti di partenza e… di arrivo. C’è la serenità di chi ubbidisce per convinzione, perché sa che ogni lavoro anche umile è importante. E grazie a cui c’è un’organizzazione unica in Italia: tutto funziona al cronometro e io dal primo giorno mi ritrovo stupita. Stupore è una parola cara a don Giussani che credo ne sarebbe soddisfatto. Il punto di partenza è il Cristo crocifisso e risorto da cui discendono la consapevolezza della salvezza e il senso di liberazione e appagamento che qui regnano. I ragazzi “del Don” sono seguaci di Cristo che ci ha insegnato che siamo tutti uguali e questa è la peculiarità dell’atmosfera che si respira. Il punto di arrivo è il tema del 2004: non presumere di essere arrivati ma tendere continuamente alla meta. Quale essa sia è difficile da dire: i disegni di Dio sono imperscrutabili ma chi a Lui si affida non ha nulla da temere. In termini umani ascoltando e vedendo “l’altro”, sotto forma di musulmano “laico”, di ebreo riformato o di direttore di Al Jazeera; di monaco buddista, di missionario cattolico o di teologo protestante, di ex terrorista, di operatrice di pace (vera), di cantante o pittrice, ne usciamo tutti arricchiti. E soprattutto, visto che razzismo e pregiudizi nascono dalla paura, accettando la nostra umanità e concludendo che il dialogo è sempre più proficuo della chiusura, si fa un passo avanti verso un mondo meno dilaniato da conflitti e ideologie, spesso più pericolose delle armi stesse. Quanto i pregiudizi ci riprenderanno una volta usciti da qui e quanto i semi buoni attecchiranno è la sfida che ognuno di noi si porta a casa.

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