
Il mondo piange la morte di Gilles Jacquier, ma non quella di Shukri Abu al-Bourghol
L’11 gennaio una delegazione internazionale di giornalisti, mentre si trovava a Homs per effettuare delle riprese, ha assistito in diretta a un attacco terroristico. L’assalto con missili Hawen è avvenuto nella zona residenziale di ‘Akrama, abitata da sostenitori del governo, mentre era in corso una manifestazione e ha provocato la morte di otto persone, tra cui il giornalista di France2, Gilles Jacquier, e il ferimento di 25 (tra di loro anche un giornalista attualmente in terapia intensiva).
Unanime è subito arrivata la condanna della comunità internazionale, sconvolta per il tragico avvenimento; il governo francese ha immediatamente chiesto l’apertura di un’inchiesta che chiarisca le circostanze della morte del reporter. Da parte sua, il governo siriano, che non ha mai nascosto la pericolosità per gli inviati stranieri di girare per la Siria, ha sottolineato che il gruppo non viaggiava scortato da alcuna rappresenza governativa e, pertanto, sarebbe stato difficile assicurare loro l’incolumità.
Troppo facile accusare Damasco di questo agghiacciante assalto, eppoi, che motivo avrebbe avuto? A che pro assalire una manifestazione di sostenitori del governo solo per intimidire una delegazione di giornalisti stranieri e attirarsi ancora di più gli odii della comunità internazionale? Perché l’esercito avrebbe dovuto ostacolare deliberatamente il lavoro di un gruppo di giornalisti che, in realtà, non avrebbe potuto che confermare esattamente quanto le fonti ufficiali hanno sempre raccontato, ovvero di un popolo che sostiene il presidente Assad e dei ribelli debitamente armati che terrorizzano i civili? È davvero tanto difficile, per una volta, provare ad accettare la tesi ufficiale anziché inerpicarsi su complicate spiegazioni di complotti orditi per nascondere altri complotti che sottointendono segrete trame?
Del resto quanto accaduto oggi non è, purtroppo, un caso isolato. Solo pochi giorni fa un altro giornalista è stato vittima di queste bande estremiste, solo che, questa volta, nessuna comunità internazionale si è scomodata a condannare i fatti, nessun articolo è stato speso per raccontare questo non meno tragico episodio. Aveva 55 anni, Shukri Abu al-Bourghol, una casa a Dareyya, moglie e tre figli. Conduceva una vita semplice, tra famiglia e lavoro, ed era per tutti un esempio di integrità e moralità. Faceva il giornalista, Shukri Abu al-Bourghol, collaborava con il quotidiano Al-Thawra e con Radio Damasco. Venerdì 30 dicembre si trovava nella sua abitazione per ultimare un servizio per l’emittente della capitale quando un rumore di spari ha echeggiato nella via, l’uomo si è affacciato alla finestra di casa e alcuni proiettili lo hanno ferito. Uno, quello letale, gli ha colpito un occhio.
Trasportato d’urgenza all’ospedale Al-Mouassat, è deceduto dopo vani tentativi disperati di operazioni e un’agonia lunga interminabili ore. Familiari, amici e colleghi si sono stretti intorno al suo ricordo e, forti del suo esempio, hanno scelto di trasformare i commoventi funerali del 2 gennaio in un momento di manifestazione contro il terrorismo.
La notizia di questa morte però non ha avuto spazio tra i media di casa nostra, il nome di Shukri Abu al-Bourghol e la sua vicenda non sono stati ritenuti abbastanza interessanti, forse, verrebbe da chiedersi, solo perché in questa rivolta era schierato dalla parte sbagliata? Shukri Abu al-Bourghol, infatti, lavorava per i media ufficiali siriani, quelli che appoggiano il governo di Assad, per questo era da considerarsi degno di una simile fine? Basta così poco per dare “licenza di uccidere” a questi novelli “James Bond” del crimine organizzato siriano?
Questi assassini hanno agito con la certezza che nessuno in Occidente sarebbe andato a biasimarli per questo omicidio e, in effetti, nessuno ne ha parlato o diffuso le immagini. Ma, naturalmente, in Siria i giornalisti non sono gli unici a cadere sotto i proiettili di militanti che ormai quasi nessuno osa più definire pacifici: il 2 gennaio il poliziotto Khaled al-Mustafa è stato colpito due volte alla testa mentre era alla guida sua auto a Idleb. Un’altra vittima di una lista che conta già almeno 1.200 nomi tra i membri delle forze dell’ordine.
Un’altra categoria presa di mira dagli assassini, sono i civili senza incarichi politici o di responsabilità: una dipendente della scuola Sayyedeh Aisha a Hama, Rihab Ghazal, è stata trovata morta tre giorni dopo il suo rapimento. Il suo crimine? Essere sposata con un dipendente di un’altra scuola che aveva rifiutato di partecipare a uno sciopero forzato contro il governo. E che dire dell’uccisione, il 2 gennaio a Homs, della guardia di sicurezza Rami Khallouf?
Si tratta di casi incontestabili di vittime di questi “tiratori scelti”. Rappresentanti politici e istituzioni internazionali chiedono la fine della violenza in Siria? Che la smettano di giustificare con il loro assordante silenzio questi ignobili e insensati assassinii!
Pierangela Zanzottera
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