Il museo di Bilbao. O dell’arte di sbilanciarsi in avanti

Di Frangi & Stolfi
08 Settembre 1999
Senza ombrello, sotto il temporale

Diceva Alberto Giacometti, uno dei più grandi e commoventi artisti di questo secolo, che per lui l’essere umano era una creatura eretta ma perennemente sbilanciata in avanti. Per Giacometti questo sbilanciamento era dovuto all’ansia che rende inquieto ogni individuo e lo mette nell’obbligo di muoversi, perché l’inerzia garantisce solo non senso e disperazione. A parte le interpretazioni giacomettiane, quell’immagine dell’uomo come creatura sbilanciata in avanti (proprio in senso fisico, con il busto e le braccia inclinati, che quasi costringono le gambe a cambiar passo) è un’immagine davvero bellissima, vera e da tener buona anche per se stessi. Certamente è l’unica immagine che riesca a spiegare, almeno in parte, uno dei più straordinari prodigi costruttivi di questo secolo (ne parliamo qui perché ne siamo freschi freschi reduci): il museo Guggenheim di Bilbao progettato da Frank Gehry. Lo avrete senz’altro visto in decine di foto o di servizi televisivi, con quella sua incredibile mole rivestita di lastre di titanio. Ma nessuna foto può mai rendere la reale straordinarietà di quell’edificio. Immaginate una città lontana, ma davvero lontana, da ogni rotta; una città intessuta di ciminiere, di capannoni, di gru, di case tristi, solcata da un fiume pesante e dall’acqua di fango. Immaginate una comunità molto orgogliosa di se stessa, ma sfiancata da decenni di solitudine e di estremismi sanguinari. Immaginate che un giorno questi uomini decidano di buttarsi nell’impresa più impensabile e più inutile rispetto ai problemi della loro città: dotarsi del più bello e del più nuovo museo del mondo. Immaginate che nel giro di sei anni sulle sponde di quel fiume limaccioso, all’ombra delle tristi ciminiere, in uno spiazzo immenso dove sino al giorno prima regnavano i container sorga un edificio strano, che ha la forma di un’enorme nave, la cui prua chiede spazio e s’infila sotto il ponte solcato ogni giorno da migliaia di tir, la cui tolda è una sequenza infinita di forme imbizzarrite, la cui cabina di comando sembra sobbalzare verso il cielo, il cui ventre è così immenso da mozzare il fiato. Ecco, immaginate tutto questo e sarete sulla buona strada per rendervi conto di cosa rappresenti questo museo. Che è, come avrete capito, tante cose prima di essere un museo. Non fosse una parola troppo grande, diremmo che ha tutti i crismi per essere una cattedrale, perché esprime il dinamismo dell’uomo che sa di non bastare a se stesso. E poi, come le antiche cattedrali non sorge in luoghi eletti, ma schiacciato tra le case, le fabbriche e le strade. Quasi a ricordare a tutti che l’uomo vero è quello che non ha timore di sbilanciarsi in avanti. Di cercare.

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