Il nuovo voto italo-americano

Di Lorenzo Albacete
13 Novembre 2003
Da ora in poi, ogni giorno mi verrà ricordato che devo scrivere articoli per questa rubrica.

Da ora in poi, ogni giorno mi verrà ricordato che devo scrivere articoli per questa rubrica. Per i prossimi quattro anni continuerò a imbattermi ovunque nel nome “Amicone!”. La ragione è questa: Amicone ha appena vinto le elezioni a sindaco di Yonkers, la cittadina vicino al Bronx in cui io vivo. Phil Amicone, non Luigi Amicone, ma il suo nome di famiglia lo si vede da tutte le parti stampato in caratteri cubitali. Amicone è di origini italiane, come moltissimi abitanti di Yonkers. Alcuni guidano il governo, una buona parte possiede ristoranti, e gli altri si preoccupano per l’invasione della città da parte degli ispanici e ora anche di “sospetti” emigrati dal Terzo Mondo. Amicone “non sembra italiano”, come direbbero molti americani. Ha capelli, baffi e barba biondi. Intendono semplicemente che non è del sud Italia. Ossia quelli che si offendono per non essere considerati altrettanto bianchi di Amicone. In effetti, gli italo-americani, così come gli irlandesi americani (le due maggiori popolazioni cattoliche non ispaniche), hanno una storia di difficili rapporti con gli afro-americani, specialmenti in luoghi come Yonkers, costretti dal governo federale a fare opera di integrazione nelle proprie scuole pubbliche facendo andare i bambini di un certo quartiere in una scuola di un altro quartiere. Yonkers, esattamente come Boston, reagì con violente dimostrazioni pubbliche di protesta contro questo piano di “mobilità studentesca” imposto dall’alto. A Yonkers la situazione divenne così critica che il governo federale decise di togliere il controllo delle scuole pubbliche al governo locale e di assumerne direttamente la responsabilità fino a quando non avesse rispettato il progetto di equilibrio razziale. Il fatto che Amicone sia un repubblicano dimostra che molti italo-americani hanno abbandonato il partito democratico durante questo periodo di scontri razziali. In effetti, nelle elezioni di Yonkers il principale avversario di Amicone è stato il candidato democratico Joe Farmer, un nero che era stato a capo del comitato locale per l’istruzione. Le elezioni di Yonkers sembrano riflettere una tendenza nazionale, in virtù della quale le questioni locali (soprattutto sul miglioramento delle condizioni economiche e sui posti di lavoro) sono più importanti di quelle nazionali. I democratici hanno ottenuto i risultati che ci si aspettava, e lo stesso vale per i repubblicani. A livello locale, nessun partito sembra in grado di riportare vittorie strepitose.
A livello nazionale, sembra sempre più probabile che Howard Dean, il medico già governatore del Vermont, sarà il candidato democratico alla presidenza. Per i democratici Dean è ciò che McCain era per i repubblicani: il candidato più attraente sul piano personale appunto perché non è il candidato dell’establishment, ma di quella “base elettorale” di attivisti che sono preoccupati per l’influenza delle grandi contribuzioni finanziarie. Se verrà scelto, Dean sarà il primo primo leader nazionale di partito ad essere stato nominato dagli attivisti e dai procacciatori di fondi di “internet”, aprendo così un nuovo fronte nelle battaglie politiche americane. Nel frattempo, i repubblicani di Bush si preoccupano per la guerra in Irak, ma leggono con gioia le ultime notizie sull’andamento dell’economia.

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