Il Papa della Spe salvi non teme il dubbio moderno. E affronta a viso aperto il “silenzio di Dio”

Da Perché siamo ancora nella Chiesa (Rizzoli, appena uscito), scritto a Monaco da Joseph Ratzinger, anno 1968: «Certamente, nel cristianesimo c’è un primato del logos, della parola rispetto al silenzio. Dio ha parlato, Dio è la parola. Ma oltre a ciò noi non dovremmo dimenticare la verità del duraturo nascondimento di Dio. Solo quando lo abbiamo conosciuto come silenzio, possiamo sperare di sentire anche il suo parlare, che emana dal suo silenzio».
La verità tagliente di quelle righe ti ferma. Ci inciampi dentro. Torni indietro, rileggi. «Non dovremmo dimenticare la verità del duraturo nascondimento di Dio». Lo dice il Papa della Spe salvi, della speranza cristiana audacemente ribadita qui, e ora. Quasi, cronologicamente, la premessa di quella controffensiva, di quel riaffermare con mite voce d’acciaio che siamo “spe salvi”, nella speranza siamo salvati. Prima, il coraggio dell’assunzione su di sé della frattura che spacca il Novecento: il non negare, e anzi assumere la sfida del dubbio che ha incrinato la generazione dei nostri padri, e che noi abbiamo in tanti ereditato, tacitamente incisa addosso. Poi – una vita di mezzo, e il soglio pontificio sulle spalle – quel ribadire con passione e certezza che la nostra speranza è vera, e vera oggi.
Vengono in mente, a quel «duraturo nascondimento», le Ultime lettere da Stalingrado di 39 soldati tedeschi. Lettere alle madri prima dell’apocalisse: «Ho cercato Dio in ogni fossa, in ogni casa distrutta, in ogni mio camerata. Dio non si è mostrato. Soltanto Dio non c’era. A Stalingrado, no». Viene in mente il vecchio Vangelo ingiallito che tu stessa hai a casa, superstite in uno zaino riportato a casa dalla sacca del Don. E le uniche parole sottolineate con una matita rossa sono Marco, 15, 34: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (tuo padre dal Don è tornato, ma di Dio non ti ha mai detto una parola). Viene in mente la signora Margarethe Bakker, fondatrice vent’anni fa della prima associazione olandese per l’eutanasia, che raccontava di essere stata una ragazza cattolica, ma di avere smesso di credere dopo che la sua migliore amica, ebrea, era morta ad Auschwitz: «Se Dio ci fosse, non lo avrebbe permesso». (L’ateismo del XX secolo, scrive il Papa nella Spe salvi, è «un moralismo». È la contestazione di un Dio «ingiusto», e la pretesa sinistra di costruire un mondo giusto da soli).
Ce l’abbiamo scritto addosso, consapevoli o di-stratti o cinici, quel “duraturo nascondimento” che il futuro Papa riconosce e assume limpidamente su se stesso, uomo del Novecento come noi. In una sfida pienamente affrontata. Quarant’anni dopo, cento pagine sulla Speranza, quella vera, quella che veramente cambia la vita. Il grande motore: «La causa di tutti gli slanci positivi o distruttivi verso il mondo autentico e l’autentico uomo». Dal nascondimento, Dio ha parlato ancora.

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