
IL PARADOSSO MINORITARIO DELL’AMERICA
La domanda su che cosa precisamente unisca i cittadini americani in una nazione (nel senso dell’esperienza unificante di sentirsi un popolo distinto) continua a far discutere questo paese. Lo ha fatto fin dall’inizio della sua storia, ma per molto tempo la questione è stata dibattuta nei termini del rapporto tra i singoli Stati e il governo federale. C’è voluta una guerra civile per trasformarla in un dibattito legale-costituzionale. Oggi la questione riguarda lo status di minoranze con diverse origini culturali. In passato ci si aspettava semplicemente che queste minoranze si integrassero alla fine nella dominante cultura protestante anglosassone grazie all’intenso programma di americanizzazione promosso dal sistema scolastico pubblico. In larga misura si è trattato di un tentativo riuscito. Il problema più difficile è stato posto dalle minoranze cattoliche; ma le scuole cattoliche hanno realizzato un proprio programma di americanizzazione, convinte che non era per questo necessario indebolire la fede cattolica degli studenti. Oggi la cultura dominante considera cosa politicamente scorretta insistere sulla “americanizzazione”, di conseguenza il problema è diventato serio. All’esame del Congresso degli Stati Uniti si trova ora un disegno di legge per riconsegnare preziose terre alla “popolazione indigena delle Hawaii”, alla quale furono a quanto pare sottratte quando i coloni (uomini d’affari) americani e l’esercito decisero di rovesciare la monarchia hawaiana nel 1898 (in nome della libertà) e annettere il paese agli Stati Uniti, assegnandogli infine la qualifica di Stato nel 1959. Pochi anni fa una dichiarazione del governo federale chiedeva effettivamente scusa ai “nativi” hawaiani. Il problema, naturalmente, è che oggi è diventato impossibile stabilire, se non in modo arbitrario, chi appartenga all’offeso popolo hawaiano. In ogni caso, poiché la secessione dello Stato hawaiano dall’unione americana è, dopo la guerra civile, altrettanto impossibile, i “nativi hawaiani” stanno ora chiedendo un altro tipo di riconoscimento. Proprio come le “tribù dei nativi americani” (un tempo chiamati “indiani”) hanno stabilito un accordo con il governo federale in virtù del quale alcune zone di territorio sono riconosciute appartenenti alle “nazioni” dei nativi americani, anche i “nativi hawaiani” vogliono ora essere riconosciuti come una nazione con la propria terra.
Così, il dibattito continua: che cosa significa fare parte del “popolo americano”? Esiste davvero un tale popolo? Il dibattito ha assunto una portata nazionale, specialmente per quanto riguarda la più grande delle minoranze etniche, la popolazione ispanica (al 70% cattolica), che solleva ancora una volta la questione della compatibilità tra una cultura di stampo cattolico e l’identità americana. La cosa interessante è che i vari aspetti di questo dibattito non coincidono con le divisioni tra i partiti politici, i quali sono tutti terrorizzati, dato che hanno bisogno del voto ispanico. Il fatto è che gli stessi ispanici sono divisi su questo tema. Per di più, la questione ha paralizzato le iniziative del governo per affrontare l’immigrazione illegale, con il risultato che il confine messicano è diventato una delle più gravi minacce alla sicurezza americana nella sua lotta contro il terrorismo. Quanto alla dimensione cattolica del problema, non conosco nessun leader ecclesiastico che ne sembri anche semplicemente consapevole.
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