«Il Pd non voleva né sentire né vedere». Di Pietro assesta il colpo, oggi, sul suo blog. Diretto, punta il dito sulle responsabilità degli ex alleati riguardo al buco miliardario del Monte dei Paschi di Siena. «Monti e il Pd fanno finta di litigare», «in realtà sono come i ladri di Pisa, che litigavano di giorno e rubavano insieme la notte. Sono culo e camicia». I democratici, afferma Di Pietro, hanno «un controllo, quasi totale, sulla Fondazione che sta dietro all’Mps», però dicono di non essersi accorti di niente. «Tutti distratti. Tutti nati ieri».
IL “FUOCO AMICO”. Di Pietro gongola. Ha incassato molti colpi bassi da parte degli ex alleati e ne ha restituiti altrettanti. Mai, però, si sarebbe aspettato che i vertici del Pd, a fine ottobre del 2012, tagliassero fuori l’Idv dall’alleanza con Nichi Vendola. Operazione condotta con l’aiuto di Report, la trasmissione condotta da Milena Gabanelli, in onda su Rai3. Alla platea di telekabul viene mostrato il leader dell’Idv balbettante, dopo un servizio sulla conduzione personalistica del partito e sull’uso di alcuni fondi privati da parte dell’ex pm. Una brutta figura. Gabanelli, senza pietà, manda in onda tutto. Dal giorno dopo, l’Idv inizia a spaccarsi.
INGROIA SALVA DI PIETRO. Marco Travaglio è indignato. Si tratta di supposizioni vecchie e riciclate. Ma è tutto inutile. La foto di Vasto, che ritraeva insieme Vendola, Bersani e Di Pietro non esiste più. La polpettina avvelenata del Pd, servita tramite televisione pubblica, ha funzionato. Nell’Idv si susseguono le defezioni, la più importante è quella di Massimo Donadi. Il 5 novembre, il capogruppo per la Camera lascia un partito in emorragia di consensi, che in breve tempo vengono decimati dalle inchieste per i rimborsi elettorali di Genova e Roma. A dicembre il partito è al 2 per cento. Dopo mesi ad annaspare, sondaggi alla mano, giunge a salvarlo Antonio Ingroia. L’epifania politica del magistrato che intercettò il Quirinale, per poi riposarsi qualche settimana in Guatemala, salva di Pietro dall’insignificanza elettorale in cui precipita il suo partito. Ora, come sovente gli è capitato, si ritrova dalla parte della fortuna e dovrebbe riuscire a guadagnarsi un posto in parlamento.
LE AMNESIE DI REPORT. Il fallimento dell’operazione del Pd per far fuori Tonino è gravida di conseguenze. Fino a novembre, Di Pietro non si rassegnava: «Milena Gabanelli è una brava giornalista», diceva. «Una delle poche», vere, giornaliste d’inchiesta. L’unica (fatta eccezione per Lilli Gruber, forse) ad essere riuscita a parlare un’ora e mezza del Monte dei Paschi di Siena senza mai nominare una sola volta il Partito Democratico, che ne controlla, attraverso il Comune, la Fondazione. Nel servizio “Monte dei Fiaschi di Siena“, firmato da Paolo Mondani, nel maggio dell’anno scorso, a Report si parla di “lottizzazione”, di “partiti” ma mai una volta si fa riferimento al colore rosso del vessillo che sventola sul monte più indebitato della storia. Ora che Di Pietro veste la casacca arancione di Rivoluzione Civile, insieme agli altri due moschettieri togati De Magistris e Ingroia, cercherà di prendersi la sua rivincita.
LA BRIGATA SPENDERECCIA. Di Pietro è candidato in Toscana, dove nel 1997 l’ex pm di Mani Pulite aveva ottenuto un consenso straordinario, sbancando con facilità le elezioni a danno di Giuliano Ferrara, candidato del centrodestra. Più di allora, è oggi che il vecchio stallone giustizialista si gioca tutto. Il palio politico di Siena sarà determinante per la sua sopravvivenza da parlamentare. «C’è odore di tangenti», così inizia la sua campagna elettorale da protagonista, puntando il dito contro un’amministrazione «sì vana come la senese», e contro la brigata spendereccia della Fondazione Monte dei Paschi, che secondo le accuse dei pm sarebbe responsabile non solo di un enorme deficit ma di avere sborsato due miliardi di sovrapprezzo nell’acquisto di un’altra banca, l’Antonveneta.
PROSEGUONO LE CANNONATE FRA MAGISTRATI E GIUSTIZIALISTI. Il centrosinistra è esperto di “bene comune”, e sa usarlo efficacemente per far fuori gli avversari politici, compresi gli ex alleati, come si è visto. Proprio in questi giorni, nel mirino della “gioiosa macchina da guerra”, in perdita di consensi per l’affare Mps, è finita Rivoluzione Civile. All’attacco di Ingroia c’è da tempo anche Magistratura Democratica, sempre vincolata alla sinistra dalla sua posizione ideologico-correntizia all’interno del sindacato delle toghe. Ora, come prima con Di Pietro, anche le bordate contro Rivoluzione Civile sono diventate dirette e potenti, tanto che La Repubblica ha tirato in ballo persino il potente sostituto procuratore di Milano Ilda Boccassini contro Ingroia.