
IL PRECIPITOSO DECLINO EUROCRISTIANO
In un articolo pubblicato sul numero di febbraio dell’importante rivista mensile The Atlantic, Niall Ferguson, professsore di storia alla Harvard University e membro anziano dell’Hoover Institute a Stanford, sostiene che la spaccatura, sempre più ampia, tra Europa e America non dipende tanto dalla personalità del presidente Bush e dalle sue politiche “unilaterali” quanto da mutamenti interni della stessa vita europea, e in particolare al trionfo del secolarismo. è la religiosità americana che l’Europa non riesce a sopportare, così come, viceversa, è il secolarismo europeo che l’America non riesce a comprendere.
All’origine di questo fenomeno sta ciò che Ferguson definisce il «precipitoso declino della cristianità europea negli ultimi tre decenni». I sondaggi indicano che circa il 48 per cento degli europei occidentali non va mai in chiesa; nell’Europa orientale la cifra è del 44 per cento. In Olanda, INghilterra, Germania, Svezia e Danimarca la percentuale di persone che va in chiesa almeno una volta al mese è inferiore al 15 per cento. Soltanto in Irlanda e in Italia più di un terzo della popolazione frequenta la chiesa una volta al mese o anche più spesso. Si può sostenere che la fede e la partecipazione alla messa non sono la stessa cosa. Ma alla domanda su quanto fosse rilevante la realtà di Dio per la loro vita, più del 50 per cento degli europei ha risposto che era del tutto irrilevante. Quanto a paesi un tempo fortemente cattolici come la Spagna, Ferguson cita il primo ministro spagnolo Zapatero: «gli spagnoli vogliono più sport e meno religione».
Non si può dire che la decristianizzazione dell’Europa sia dovuto a un miglioramento delle condizioni di vita. Negli Stati Uniti questo non è avvenuto. Una percentuale di americani superiore al doppio di quella europea va in chiesa almeno una volta alla settimana. Il 62 per cento degli americani dice di credere in un Dio personale, mentre soltanto un terzo degli europei afferma la stessa cosa. Il 15 per cento degli europei si definise ateo, mentre in America meno del 2 per cento dei cittadini.
Naturalmente, le aree “blu” dell’America (quelle che hanno votato per John Kerry) sembrano più vicine alla situazione europea degli Stati “rossi” pro-Bush, ma anche in questi Stati la “religione” non è affato in declino. Al contrario, come ha dimostrato un articolo del New York Times pubblicato domenica scorsa, la religione appare in ascesa in tutti gli Stati Uniti, soprattutto nella sua versione “penteostale” che vale a dire basata su un’intensa esperienza emotiva. Una delle osservazioni più interessanti di Ferguson è che la differenza tra Europa e America può essere vista nella differenza tra le loro due forme di conservatorismo. Il conservatorismo americano è impensabile senza il riconoscimento del valore sociale della religione, mentre quello europeo può essere interamente laico e persino ostile alla religione.
Le osservazioni di Ferguson spiegano la differenza dell’opinione europea e americana sulla natura della minaccia rappresentata dal fondamentalismo islamico. Gli europei lo considerano un problema sociale e politico, mentre gli americani tendono a vederlo come una minaccia religiosa. Viene in mente la differenza tra la visione europea e americana della minaccia comunista durante la guerra fredda. Negli Stati Uniti, il comunismo è stato sempre definito “comunismo ateo” e percepito come una minaccia religiosa dai sostenitori di una politica militare aggressiva. Oggi, il terrorismo negli Stati Uniti viene percepito nello stesso modo dalla maggioranza degli americani. Sembra che gli europei siano sempre meno capaci di comprendere che cosa questo significhi.
Lorenzo Albacete
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