Il (quasi) Presidente G.W.

Di Lorenzo Albacete
27 Ottobre 2000
Bush è in testa nei sondaggi perché ha interpretato con maggior distacco e ironia la parte di candidato alla Casa Bianca. Mentre Al Gore paga lo scotto di un’immagine da primo della classe e (confida un uccellino del suo stesso staff al collaboratore di Tempi) perché i suoi consiglieri “non sarebbero capaci di far eleggere Giovanni Paolo II sindaco di Cracovia”

Un mio amico prossimo allo staff che cura la campagna presidenziale di Al Gore è preoccupato. Per tutta la durata della campagna è stato assolutamente convinto che al popolo americano sarebbe risultato assolutamente chiaro come Gore offra maggiori garanzie di una presidenza competente ed esperta di quanto faccia George W. Bush. L’economia gode di buona salute e la maggior parte dei cittadini medi americani approva quanto fin qui fatto da Clinton: Gore non ha dunque grandi motivi per preoccuparsi della sfida di Bush. Eppure, con le lezioni oramai prossime, i sondaggi parlano di un Bush in vantaggio. Che cosa è andato storto? Il mio amico punta il dito contro i consiglieri di Gore, che — è una sua confidenza — “non sarebbero capaci di far eleggere Giovanni Paolo II sindaco di Cracovia”. I confronti televisivi che dovevano segnare il crollo totale di Bush hanno avuto esito esattamente opposto. Bush è sopravvissuto a quelle prove (addirittura vincendone almeno una, quella più ricca di domande riguardanti la politica estera!) proprio perché non ha cercato di presentarsi come un’enciclopedia ambulante di nomi e di dettagli. Quanto alla politica interna, Bush è apparso come il candidato più disponibile a percorrere strade nuove, laddove Gore sembra invece aver fatto ritorno a una visione più conflittuale delle relazioni sociali. Peraltro, stando a diversi commentatori, Bush rieccheggia molto più Clinton di quanto faccia Gore! E comunque è sembrato lui il candidato più “rilassato”, a fronte di un Gore troppo “rigido”. La settimana scorsa Bush ha preso parte a programmi televisivi assai popolari frequentati da elettori giovanisssimi e si è mostratoto autoironico e perfettamente a proprio agio. A New York, nel corso di un’importantissima serata per la raccolta di fondi a favore della Chiesa cattolica dove sono intervenuti Al Gore, Hilary Clinton e tutta l’élite finanziaria e politica della città, Bush ha letteralmente “rubato lo spettacolo” sfoggiando un grande senso dello humor. Stante la totale assenza di passioni forti per problematiche precise, questa informalità si sta rivelando ben più efficace di quanto potesse sembrare all’inizio della campagna elettorale. E così, con grande frustrazione di coloro che prendono la politica con serietà assoluta, e che sono convinti che gli americani s’ingannino nel ritenere che non vi siano questioni importanti da affrontare, le imminenti elezioni stanno dimostrando di essere una gara assolutamente superficiale. A New York, l’evento più importante della passata settimana non ha riguardato né le elezioni, né le violenze del Medio Oriente, ma il campionato mondiale di baseball. Per la prima volta dal 1956, sono due squadre di New York a contendersi la “coppa del mondo” di baseball, ovverso gli storici e più esperti “Yankees” contro i divertenti, svitati e popolari “Mets”. Chi vince quattro partite conquista il premio. Il sindaco di New York Rudy Giuliani vorrebbe che la sfida durasse per tutte le sette partite consentite dal regolamento, giacché questo garantirebbe un maggior afflusso di denaro alla città. Ma, da tifoso accanito degli “Yankees”, vorrebbe che la sua squadra trionfasse nelle prime quattro partite. A chi gli ha chiesto quale dei due sentimenti prevalesse, ha risposto: “Vorrei che vincessero gli ‘Yankees’, ma non m’importa se anche lo faranno i ‘Mets’. Vincerà in entrambi i casi New York”. La maggior parte dei cittadini medi americani vive più o meno lo stesso eccittamento elettorale.

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