Il sogno americano è stare desti

Di Lorenzo Albacete
07 Marzo 2002
Negli Stati Uniti, questo è il mese dedicato alla “Storia nera”: così i media presentano l’analisi storiografica e le odierne prospettive sulla vita degli afro-americani.

Negli Stati Uniti, questo è il mese dedicato alla “Storia nera”: così i media presentano l’analisi storiografica e le odierne prospettive sulla vita degli afro-americani. Dopo il successo ottenuto dalle battaglie per i diritti civili degli anni Sessanta e Settanta, infatti, il ruolo e lo status che gli afro-americani hanno in questo paese continua a essere considerato un problema.

Negli Stati Uniti di oggi, il razzismo giuridico è stato quasi completamente eliminato. Tutti concordano, per esempio, nel dire che il Segretario di Stato Colin Powell avrebbe già potuto diventare presidente e che così potrebbe effettivamente succedere una volta scaduto il secondo mandato di George W. Bush. Del resto, non è raro sentir dire che i neri americani stanno oggi infrangendo tutti gli stereotipi. (Di recente, per esempio, sono saliti alla ribalta il campionissimo degli scacchi Maurice Ashley e F. D. Raines che, già direttore dell’Ufficio Gestione e Bilancio per l’Amministrazione Clinton, è divenuto il direttore generale di Fannie Mae).

Eppure, gli studiosi afro-americani delle più prestigiose fra università e istituzioni sostengono che la società americana è ancora profondamente intrisa di razzismo e che i neri — specialmente i maschi — ne sono le vittime principali, e a questo va aggiunto il fatto che i neri stanno per essere sorpassati dagl’ispanici che presto sottrarranno, loro il titolo di minoranza etnica più numerosa degli Stati Uniti. (Le relazioni fra afro-americani e ispanici sono molto complesse e assai tese, ulteriormente complicate dal fatto che molti ispanici sono essi stessi neri e che molti altri di loro non si considerano “bianchi”, anche se non s’identificano con i morenitos). Dall’altra parte, i “bianchi” si mostrano completamente disorientati dalle continue accuse di razzismo che vengono rivolte loro. A ogni buon conto, sia che si possa affermare o meno l’esistenza di qualcosa davvero definibile in termini di “razzismo”, e sia che essi restino la minoranza etnica più numerosa del paese o meno, non v’è dubbio che il ruolo svolto dai neri nella società nordamericana è stato, e tale resta, un fattore centrale del dipanarsi socio-politico dell’autocomprensione statunitense. È semplicemente impossibile comprendere l’attualità statunitense e il “futuro americano” (sia in patria che all’estero) senza tener conto con realismo dell’attualità afro-americana.

In verità, la condizione dei neri americani è stata nodale nel determinare la forma della nuova nazione statunitense dopo la fine della Guerra per l’indipendenza. Fu la certezza che gli Stati del Sud non avrebbero mai accettato l’abolizione della schiavitù che spinse gli autori della Costituzione a tollerare interpretazioni diverse quanto ai rapporti fra governo nazionale (federale) e governo dei singoli Stati dell’Unione. La questione si trasformò in un nodo che doveva venire continuamente “sciolto” in base alle mutate circostanze della storia nordamericana. Di fatto, la nozione stessa di “libertà” americana si basa esattamente su questa possibilità di riplasmare continuamente il Paese a seconda di come esso risponde alle nuove situazioni. La questione della schiavitù ha portato all’unica guerra civile che la storia degli Stati Uniti abbia conosciuto e il suo esito ha deciso in modo irreversibile il futuro della nazione. Allo stesso modo, gli esiti della “guerra civile giuridica” combattuta negli anni Sessanta e Settanta in favore del riconoscimento dei diritti dei neri americani ha rappresentato uno dei fattori più importanti per determinare il modo in cui la società statunitense deve risponde alle sfide di oggi. Il futuro degli afro-americani resta infatti oggi, così come era al principio, inseparabilmente legato al futuro del sogno americano.

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