Il sosia di Roberto Fico

Di Emanuele Boffi
19 Novembre 2022
Chi è che quattro anni fa promise lotta dura a tutti i privilegi della casta? Non può essere lo stesso presidente della Camera che poi li ha aumentati
L'ex presidente della camera Roberto Fico sull'autobus mentre si dirige a Monte Citorio, Roma, 26 marzo 2018
L'ex presidente della camera Roberto Fico sull'autobus mentre si dirige a Monte Citorio, Roma, 26 marzo 2018

Era senza dubbio un sosia, non c’è altra spiegazione. Quello che era stato eletto presidente della Camera quattro anni e che a Monte Citorio arrivava in autobus non era Roberto Fico. Non poteva essere lui. Quello che aveva fatto carriera dentro il Movimento 5 stelle come il più rigido e inflessibile fustigatore dei malcostumi della “casta” non poteva essere Roberto Fico da Napoli, l’erudito del gruppo, l’intellettuale che però aveva lavorato in un call center.

Non poteva essere lui quello che nel discorso d’insediamento si presentò come semplice «cittadino», «portavoce», garante di «un parlamento di cui i cittadini possono fidarsi». E, che, intercettando «lo spirito di cambiamento» dell’onda grillina, prometteva una dura lotta ai privilegi con «il taglio ai costi della politica», «principale obiettivo di questa legislatura».

Non poteva essere lui, Roberto Fico. Doveva essere un suo sosia.

Chi è questo Fico?

È un mistero di cui non se ne viene a capo. Ora c’è in giro un altro tizio che si fa chiamare Roberto Fico, che viene da Napoli, è laureato e ha lavorato in un call center, che ha fatto una serie di cose che il sosia – quello che era stato eletto presidente della Camera quattro anni fa – non avrebbe mai fatto.

Lo ha raccontato ieri con dovizia di particolari Francesco Verderami sul Corriere. Ma ci deve essere un errore, Verderami si dev’essere confuso, non possono essere la stessa persona. C’è infatti un Fico 2 che in estate ha firmato un bilancio che, tenendo conto del fatto che il numero dei parlamentari si sarebbe ridotto, ha fatto in modo che nella “previsione pluriennale” si sarebbe lasciata invariata la «dotazione» dello Stato. «Nel Bilancio – diceva il Corsera – veniva scritto che la Camera continuerà a percepire 943 milioni di euro anche nel 2023 e nel 2024. Strano, visto che il taglio di 230 seggi dovrebbe portare a una diminuzione dei finanziamenti. Che sono soldi dei contribuenti».

Da 49 mila a 77 mila euro

Non solo. Il capolavoro di quel bilancio firmato da Fico 2 era in «un’altra voce. Siccome non si poteva agire sul fondo per le “indennità dei parlamentari” – che infatti diminuisce dai 145 milioni del 2022 ai 93 milioni del 2024 – si usava l’escamotage dei “contributi ai gruppi” per foraggiare i partiti. Ecco la sorpresa. Quel budget nel Bilancio resta costante: i 30,8 milioni attribuiti per l’anno in corso si riprodurranno anche negli anni seguenti. Il conto è presto fatto. Se i gruppi nella legislatura con 630 seggi percepivano 49 mila euro l’anno per ogni deputato, con 400 seggi ne otterranno 77 mila a deputato. E la riduzione dei costi della politica? Nemmeno calcolando un tasso di inflazione “argentina” si giustificherebbe un simile aumento».

Chiunque capisce che si tratta di due persone diverse. A meno di pensare che si tratti della stessa persona che si è solo scordata quattro anni fa di dire che la casta sarebbe stata eliminata sì, ma per sostituirla con una ultracasta che, entrata in parlamento con l’autobus, se ne sarebbe uscita con la limousine.

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