
Il tesoretto fiscale? Già non basta più
La verità è come la religione, diceva Samuel Butler, nel senso che ha soltanto due nemici: il troppo e il troppo poco. È il commento che si attaglia alla tanto attesa relazione trimestrale di cassa presentata dal ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa. Come premessa, dichiaro che a mio giudizio va sostenuto fermamente lo sforzo che il ministro sta compiendo in queste ultime settimane, nel tentativo di evitare che i partiti della maggioranza decidano di spacciare come “restituzione dell’extragettito fiscale” nuovi programmi aggiuntivi di spesa pubblica per miliardi e miliardi di euro. La spesa aggiuntiva avrebbe un doppio effetto regressivo, a danno dei contribuenti sulle cui spalle si è abbattuto un terribile accrescimento della pressione fiscale nel 2006 e 2007: non solo paga molto di più chi supera i 40 mila euro di reddito l’anno come prometteva il governo nei suoi documenti allegati alla Finanziaria, ma, a quel punto, coi proventi destinati a interventi concentrati su poche categorie che interessano prioritariamente all’attuale maggioranza, l’effetto piazzamento sull’incentivo all’aumento dell’offerta di lavoro sarebbe doppio. La prudenza di Padoa-Schioppa, dunque, è giusta e meritoria. Ma sarebbe stata ben più solida se il ministro non fosse egli per primo incorso in una macroscopica forzatura, nei toni e nella sostanza, del dibattito sui conti pubblici italiani degli ultimi 8 mesi. È lui che ha ripetuto fino a ottobre che la situazione italiana era simile a quella del 1992, e chi come il sottoscritto replicava che i dati della ripresa della crescita italiana a cominciare dal secondo trimestre 2005 e quelli del gettito tributario da fine 2005 provavano l’esatto contrario veniva trattato come un pazzo lunatico. Al contrario, pazzo no, ma sicuramente lunare risulta proprio quel giudizio tanto ripetuto da Padoa-Schioppa, che è stato fondamento della recente Finanziaria.
La trimestrale di cassa, infatti, che cosa ci dice di clamoroso? Che nel 2007 il governo punta a un indebitamento delle pubbliche amministrazioni pari al 2,3 per cento del Pil. È inferiore solo di uno 0,1 a quello già realizzato nel 2006, che è pari al 2,4 per cento del Pil, non al 5 e più di cui parlavano Visco e Padoa-Schioppa nella due diligence affidata, appena vinte le elezioni, al compianto professor Riccardo Faini. In altre parole l’aumento delle entrate tributarie fino al 46,1 per cento del Pil nel 2006, realizzata grazie a un extragettito di quasi 40 miliardi di euro sul 2005 in larghissima misura frutto dell’ultima Finanziaria Tremonti (per dimostrarlo, il cespite che sale di più percentualmente nel 2006 con un più 28,3 per cento è l’imposta sostitutiva di quelle sui redditi e le ritenute sugli interessi e altri redditi da capitale, per via della nuova disciplina contenuta nella Finanziaria 2006 e non solo del buon andamento dei mercati finanziari, che già l’anno precedente erano andati benissimo), e l’ulteriore aumento fino al 46,6 per cento previsto dal governo per il 2007 (e che risulterà superiore alla stima: accetto scommesse sul punto, vista la Finanziaria delle cento tasse nuove) non solo ci hanno messi in riga con Bruxelles già nel 2006, ma soprattutto non viene utilizzata dal governo in carica che per un miglioramento del deficit tendenziale 2007 di un solo, misero e miserabile 0,1 per cento di Pil in meno dell’anno-Tremonti. Sempre che Padoa-Schioppa, appunto, regga alle pressioni di nuova spesa aggiuntiva.
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