Gli elettori si sono riaffidati al Dpp, nonostante abbia governato male, per sottrarre l’isola alle sempre più pressanti mire cinesi. Analisi del verdetto delle urne
Il candidato del Partito progressista democratico Lai Ching-te (al centro della foto) festeggia la vittoria alle elezioni presidenziali di Taiwan il 13 gennaio 2024 (foto Ansa)
Più che i “verdi” o i “blu”, alle elezioni presidenziali del 13 gennaio a Taiwan ha vinto lo status quo. Davanti alle continue minacce d’invasione da parte della Cina, gli abitanti dell’isola hanno chiaramente fatto sentire la propria voce: non vogliono diventare schiavi di Pechino, ma non intendono neanche dichiararsi formalmente indipendenti e suscitare così le ire del Partito comunista. Con un’affluenza del 72 per cento, i 19 milioni di taiwanesi aventi diritto al voto hanno scelto la stabilità: ha conquistato la presidenza con il 40,1 per cento dei voti il più anticinese tra i tre candidati, Lai Ching-te, l’uomo del Partito progressista democratico (Dpp), al potere dal 2016 per due mandati consecutivi con Tsai Ing-wen.
La vittoria di Lai è però un successo a metà: oltre ad aver lasciato per strada 2,5 milioni di voti rispetto a quattro anni fa, i “verdi” hanno perso terreno in Parlamento, dove hanno conquistato soltanto 51 seggi, sei in meno di quelli necessari a ottenere la maggio...