
Imparare dal setterosa
Ha suscitato pesanti ilarità e giudizi affrettati l’accostamento del neo c.t. Marcello Lippi: «Voglio una nazionale come il Setterosa». Da destra a sinistra si è unita la superficialità che attraversa la categoria dei giornalisti sportivi, dotti o meno. Ovviamente niente costoro sanno del Setterosa, ovviamente poche volte hanno frequentato l’Olimpiade, unico avvenimento sportivo ancora in grado d’emozionare. è parso irriverente accostare la waterpolo rosa, movimento limitato e di nicchia, al grande calcio diffuso e seguito. Non so quali fossero le intenzioni di Lippi, so che non c’è nulla di blasfemo nel rispetto dovuto a un gruppo di ragazze che ha vinto tutto, più con spirito di gruppo che con qualità individuali. So che a parte il calcio nel 1936, in nessuno sport di squadra l’Italia ha vinto l’oro all’Olimpiade, se non nella pallanuoto. Saremo pochi, ma siamo maestri. Saremo marginali, ma rappresentiamo uno sport duro e solidale, di contatto e di sacrificio. Un po’ come quelli del rugby noi della waterpolo ci conosciamo tutti, ci annusiamo, ce le diamo e dopo la facciamo finita. Ci lamentiamo, ma senza le infinite litanie di quelli del calcio. Per cui, se qualcuno si doveva offendere del paragone, dovevano essere le nostre ragazze in calottina, non la solita, squallida ciurma di giornalisti mediocri e banali.
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