In Polonia "spira forte un vento antisemita"?

Voler definire la verità storica per legge è assurdo. Ma la reazione dei media che urlano al fascismo è frutto della narrazione mainstream



L’epoca delle grandi narrazioni è finita, eppure non siamo mai a corto di adeguati fondali epici per raccontare l’attualità. Uno di quelli che stanno tornando di moda, ad esempio, è il presunto scontro mondiale tra la liberaldemocrazia e i “fascismi”, dipinti nell’atto di rialzare la testa. Prendiamo il caso ancora fresco della legge approvata dal parlamento di Varsavia, che proibisce di associare la Polonia allo sterminio nazista, e nello specifico vieta l’uso della definizione di “campi polacchi” riferita ai lager, come Auschwitz, che hanno operato all’interno dei confini nazionali, fissando per tale reato una pena di un massimo di tre anni di carcere.
Naturalmente questa decisione ha sollevato un fuoco di fila di critiche e manifestazioni di indignazione, a partire dalla presa di posizione ufficiale dello stato israeliano per bocca del premier Netanyahu, che grida al negazionismo; e di seguito, un gran numero di organi di informazione ne hanno sottolineato la gravità, in special modo in un Paese guidato da forze conservatrici nazionaliste, e dal quale “spira forte un vento antisemita” (così ad esempio l’Huffington Post).
Ora, può non risultare subito evidente che la legge sia espressione dell’antisemitismo e tanto meno del negazionismo – se il parlamento polacco si oppone a che la nazione sia collegata alla Shoah, non ne riconosce con questo la realtà, e soprattutto l’atrocità? Ma il lettore avveduto di scenari internazionali si sforzerà di far tacere questa ingenua voce interiore. Resta da vedere se le tesi dei legislatori polacchi si valgano di qualche fondamento, e quale. I campi di sterminio furono creati in regime di occupazione militare tedesca, e non impiegavano guardie o inservienti locali; il che effettivamente rende quantomeno discutibile l’impiego dell’espressione “campi polacchi” – lo ammette anche un’illustre storico della Shoah come Marcello Pezzetti, intervistato dal Corriere della Sera, ribadendo peraltro l’inaccettabilità della nuova legge. Più azzardato il tentativo di scagionare interamente la nazione da ogni responsabilità nello sterminio. Gli studiosi mettono in luce in particolare il fenomeno della delazione; risalendo poi a denunciare le radici prebelliche dell’antisemitismo polacco, realtà ben nota agli storici e però da essi ben distinta dalla specificità della “soluzione finale” nazista e su cui, a essere onesti, la legge incriminata nulla ha da dire.
Insomma, come il lettore avveduto avrà capito, la questione storica della responsabilità della Polonia è complessa e stratificata, ed è impensabile risolverla come si è cercato di fare con poche, rozze categorie di rilevanza penale. In realtà, la vera ingiustizia della legge non è contenutistica, ma formale; per meglio dire, non si tratta di stabilire se le tesi storiche imposte per legge dai rappresentanti del popolo polacco siano fondate o meno, in quanto è l’atto stesso di voler definire la verità storica a colpi di legge ad essere assurdo e violento. Considerazione valida, del resto, anche per le norme antinegazioniste proposte in passato. La verità storica è indisponibile agli strumenti del legislatore; come lo sono la libertà di ricerca e di informazione.
Se accettiamo questi banali chiarimenti sulla natura del problema, il sentimento di condanna internazionalmente espresso continua a sussistere. Non altrettanto si può dire della narrazione che questo, nella gran parte dei casi, vorrebbe contribuire a costruire; voglio dire la storia della risorgenza dei “fascismi” contro i valori della democrazia liberale, l’Europa, i diritti e quant’altro. La ripresa mediatica dell’episodio polacco, infatti, si inserisce in una vulgata che vede la Polonia a guida conservatrice di Andrzej Duda, con l’Ungheria di Viktor Orban, nella parte dello spauracchio neofascista. Che le cose stiano o meno così, la discussa legge non costituisce una prova a carico. Certo, il governo di Duda è di esplicita impostazione nazionalista; il provvedimento stesso si giustificherebbe nell’ottica della difesa dell’”onore polacco”.
Ma a guardar bene, è tutta un’epidemia globale di pruriti di controllo della libertà di informazione e ricerca che colpisce trasversalmente e l’allarmismo sulle fake-news ne è solo uno dei sintomi più conclamati. Vogliamo parlare delle recenti leggi canadesi che prescrivono l’uso di parole inesistenti per rivolgersi a chi si percepisce come “non-binario” (cioè né maschio né femmina)? La nobile ansia di edificare il regno della Verità e dell’Amore con mezzi coercitivi sta prendendo piede un po’ ovunque, e gli autoproclamati paladini dei diritti umani non ne sono affatto esenti. Sarà finita l’epoca delle grandi narrazioni, ma l’abitudine di raccontarle grosse non passa di moda.
Exit mobile version