In Ucraina «la gente sta imparando a convivere con la guerra»

Di Leone Grotti
04 Settembre 2022
Le scuole da riaprire, le case per gli sfollati adatte all'inverno da trovare, gli aiuti umanitari da far arrivare a chi è sotto le bombe. Intervista a padre Igor Boyko, rettore del seminario di Leopoli: «Tutti vogliamo la pace, ma non possiamo accettarne una ingiusta»
Il sacerdote della Chiesa greco-cattolica in Ucraina, Igor Boyko

Il sacerdote della Chiesa greco-cattolica in Ucraina, Igor Boyko

«Ci stiamo abituando a convivere con la guerra». Sembra impossibile, ma è quello che sta accadendo in Ucraina. Lo racconta a Tempi padre Igor Boyko, il rettore del seminario greco-cattolico di Leopoli che fin dall’inizio del conflitto ha fatto di tutto per prendersi cura di chi scappava dai missili e dalle bombe. A sei mesi dall’inizio dell’invasione russa, spiega, «tutti quanti vogliamo la pace e desideriamo che la guerra finisca, ma non siamo stanchi e non accetteremo una pace ingiusta».

Secondo la Bbc, solo il 40% delle scuole in Ucraina potrà riaprire a settembre. Nella regione di Kiev, il 75% delle scuole sarebbe pronta a riaprire, ma solo il 25% vorrebbe farlo. Qual è la situazione?
Dipende da dove ci si trova. Qui a Leopoli la situazione è calma, ad esempio, mentre altre città subiscono i bombardamenti russi. Moltissime persone che, prese dal panico, erano fuggite dopo l’invasione russa ora sono tornate, soprattutto nelle città più tranquille, proprio per permettere ai figli di tornare a studiare. Purtroppo i russi hanno distrutto tante scuole, perché quando lanciano i loro missili non fanno attenzione a dove mirano. Tanti bambini, di conseguenza, non hanno più una scuola, anche se penso che gli insegnanti cercheranno di rimediare con le lezioni online.

Quali sono invece le difficoltà nelle zone in cui non infuria la guerra?
Servono le giuste condizioni di sicurezza. Le scuole, cioè, devono avere accesso a rifugi sotterranei in caso di attacco e non è semplice trovarli. A Kiev, ad esempio, tre diverse scuole si sono rivolte alla cattedrale greco-cattolica, che dispone di uno spazio sotterraneo che può contenere fino a 600 persone. La chiesa verrà così usata come scuola per i ragazzi.

Qual è oggi la situazione degli sfollati interni?
Dall’inizio della guerra, il 24 febbraio, c’è stato un grande afflusso di sfollati a Leopoli dalle città di Kharkiv, Mariupol, Odessa e Chernihiv. Per accoglierli abbiamo messo a disposizione chiese, scuole, università, parrocchie, case private. Nel seminario dove sono rettore abbiamo accolto più di 180 persone procurandoci per loro aiuti umanitari, vestiti, medicinali, pasti caldi. Rispetto a sei mesi fa la situazione è migliorata. Chi poteva è tornato a casa, chi non ha più una casa è rimasto.

Dove?
A Leopoli abbiamo costruito quattro città modulari che possono accogliere 200-250 persone l’una. Per l’estate e l’autunno vanno bene, ma non sono adeguate per l’inverno perché fa troppo freddo. Ora la città sta pensando a come prendersi cura di questi mille sfollati.

Quanti profughi ospitate ancora nella struttura del vecchio seminario?
Da 180 che erano, ora ne ospitiamo 15 che non hanno dove tornare. Sono tutte persone che hanno storie molto tristi, donne rimaste sole, con i mariti e i figli in guerra. Ricordo una mamma che aveva due figli al fronte e che mi diceva: «Io li ho affidati alla Madonna e ogni giorno chiedo che lei li protegga».

Vi siete sentiti abbandonati durante il conflitto?
Tutt’altro, è solo grazie alla solidarietà del mondo intero e di quella tra ucraini che siamo riusciti a superare le difficoltà causate da questa guerra ingiusta. Il popolo soffre, ma noi resistiamo e resisteremo perché dobbiamo proteggere la nostra terra. Mi faccia però aggiungere un ringraziamento speciale.

Prego.
La solidarietà del popolo italiano è stata incredibile. Nessuno è rimasto indifferente e tantissime persone mi hanno chiamato chiedendomi «di che cosa hai bisogno?». Tanti si sono messi in viaggio alla guida di camion per portarci cibo, medicinali, vestiti, pannolini per i profughi. Tanti italiani, poi, hanno aperto le loro case per accogliere chi ha lasciato l’Ucraina. Per tutto questo vi ringrazio.

Se la situazione a Leopoli migliora, lo stesso non si può dire dell’Est del paese. Lei è stato poche settimane fa a Kharkiv, come l’ha trovata?
Non sembrava di essere a Kharkiv. La città si trova a 30 km dal confine con la Russia ed è la seconda più grande del paese, con circa 1,4 milioni di abitanti. Una parte della città è completamente distrutta dai bombardamenti incessanti e oltre la metà della popolazione è scappata. Kharkiv quindi è spopolata, sembra quasi una città fantasma. Ho visitato la piazza centrale, la più grande d’Europa, ed era deserta: faceva venire i brividi e una grande tristezza. Si sentono spesso esplosioni in lontananza e la gente vive nella paura.

Perché si è arrischiato ad andare a Kharkiv?
Per aiutare i miei fratelli. A Kharkiv c’è il nostro vescovo, ci sono anche altri sacerdoti e suore i quali aiutano la popolazione a resistere. Una volta a settimana, circa 1.300 persone vanno in chiesa, prendono un biglietto e ricevono aiuti umanitari. Sono stato lì con un gruppo di italiani provenienti da Como. Tra loro c’era anche un clown, Marco Rodari, che ha giocato con i bambini. Doveva sentire come ridevano, come se avessero voluto esplodere dalle risate, come se non ridessero da troppo tempo.

Prima ha detto che la gente si sta abituando alla guerra. Che cosa significa?
Faccio un esempio personale. All’inizio del conflitto le sirene suonavano in continuazione, anche due o tre volte di giorno e di notte. Noi dovevamo sempre fermarci, rintanarci nei rifugi e restarci più di un’ora. Dopo due o tre settimane che vivi così inizi a essere stanco psicologicamente, fisicamente e moralmente. Poi però le sirene hanno iniziato a suonare meno frequentemente, tutti ci siamo accorti che Leopoli era relativamente sicura e perciò oggi anche se suonano le sirene non sempre mi precipito nel rifugio. Non bisogna rischiare la vita, ovviamente, ma bisogna anche essere realistici.

È possibile che gli ucraini tornino a convivere con i russi?
Dovremo farlo, perché i russi resteranno sempre i nostri vicini. Ma anche se tutti vogliamo che la guerra finisca, nessuno di noi è disposto ad accettare una pace ingiusta. I russi ci hanno invasi e devono andarsene. Quando l’avranno fatto, potremo parlare. Noi ora abbiamo il dovere di difendere la nostra terra e le nostre famiglie. Non possiamo lasciargli il nostro paese: sarebbe un grave errore e a pagarne le conseguenze sarebbero i nostri figli e nipoti.

@LeoneGrotti

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