Il gesto «crudele» dei giudici che hanno lasciato morire Indi. «Serve una legge»

Duro comunicato dell'Anscombe Bioethics Center di Oxford dopo la morte della piccola Gregory a cui è stato impedito il trasferimento al Bambino Gesù. Il ruolo di medici e genitori e la necessità di una norma che impedisca altri casi come questo

Indi Gregory in braccio alla madre Claire dopo l’estubazione

«Il caso di Indi Gregory è tristemente familiare. L’abbiamo già visto troppe volte». Inizia così il lungo comunicato dell’Anscombe Bioethics Center di Oxford sulla bimba inglese affetta da una rarissima malattia mitocondriale e condannata dall’Alta Corte di Londra alla sospensione dei trattamenti vitali come Charlie Gard, Alfie Evans, Pippa Knight, Archie Battersbee. La piccola è morta questa notte nell’hospice del Derbyshire dove era stata trasferita sabato mattina per l’estubazione, lasciando una famiglia distrutta: «Mia figlia è morta, la mia vita è finita all’1.45», ha detto al Corriere Dean Gregory al culmine di una vicenda diventata pubblica e di cui tuttavia non sono stati rivelati molti dettagli medici, «io e mia moglie Clare siamo arrabbiati, affranti e pieni di vergogna».

La battaglia impari tra genitori di Indi e Sanità inglese

Nel suo intervento dal titolo eloquente “A un altro bambino è stato negato il diritto di viaggiare per cure mediche”, l’Anscombe Centre evidenzia il livello di disparità assoluta che ha segnato la battaglia dei Gregory trascinati in tribunale: «Le risorse degli NHS Trust sono di gran lunga superiori a quelle dei genitori» (nel 2021, il Nottingham University Hospitals NHS Trust aveva un budget annuale di 1,3 miliardi di sterline), Dean e Claire Gregory si sono trovati, come altri prima di loro, senza una scuderia di legali paragonabile a quella del Trust e ad affrontare «un processo sconosciuto e in cui è difficile accedere alle informazioni mediche sul proprio figlio».

Un bambino rappresentato non da sua madre e suo padre, ma da un tutore che «in questo caso, come nella maggior parte dei casi, ha sottolineato gli oneri del trattamento piuttosto che i benefici del vivere e ha considerato la qualità della vita di Indi in modo molto negativo». E ancora una volta il giudice «come nella maggior parte dei casi simili, si è schierato dalla parte dei medici e del tutore e ha dichiarato che sarebbe stato nel migliore interesse di Indi sospendere il trattamento di sostentamento vitale “invasivo”».

Lo standard del Bambino Gesù e quello dell’NHS

Lo stesso copione che si è presentato quando i genitori hanno chiesto il trasferimento di Indi all’ospedale Bambino Gesù, che aveva dato disponibilità all’accoglienza: ancora una volta, «come accade quasi sempre», il trust si è opposto, il caso è tornato in tribunale e il tribunale ha rifiutato ai Gregory il permesso di portare Indi in Italia. A poco è servita la lotta contro il tempo del console italiano e del governo che ha dato cittadinanza alla bambina per portarla a Roma: «Con un ultimo crudele colpo di scena», scrive il centro di bioetica, il 10 novembre la corte ha stabilito non solo che i Gregory «non potevano recarsi in Italia, ma che i sostegni vitali dovevano essere ritirati e che la sospensione definitiva delle cure non poteva avvenire presso la casa di famiglia».

L’Anscombe sottolinea che:

«Fino a quando non viene dimostrato che i genitori prendono decisioni che sono allo stesso tempo irragionevoli e dannose, devono essere riconosciuti come i primi giudici di ciò che è nel miglior interesse dei loro figli. Togliere perentoriamente questa responsabilità ai genitori è un’ingiustizia non solo nei loro confronti ma anche nei confronti dei bambini che hanno il diritto di essere accuditi dai loro genitori. In particolare, come un paziente ha il diritto di cercare cure mediche all’estero, così i genitori dovrebbero avere il diritto di cercare cure per il proprio figlio dove coloro che offrono le cure sono adeguatamente qualificati e adeguatamente regolamentati».

È il caso del Bambino Gesù, «dove lo standard dell’assistenza sanitaria è certamente equivalente a quello del servizio sanitario nazionale del Regno Unito. Se i medici in Inghilterra non desiderano curare il bambino, perché non permettono almeno che questi venga curato da un’équipe medica adeguatamente qualificata in un altro paese?».

Una legge per non avere più casi come quello di Indi

Non è la prima e non sarà l’ultima volta perché la cultura del trust è viziata all’origine: affrontare il problema richiede per il centro di bioetica di Oxford una legge che riconosce «l’autorità dei genitori come giudici in prima istanza di ciò che è nel best interest dei loro figli». Questo potrebbe accadere se nell’Health and Care Act 2022 venisse reintrodotto l’emendamento proposto dalla baronessa Ilora Finlay, che si spese in una instancabile campagna alla Camera dei Lord per la riforma delle cure palliative e l’adozione della “Charlie’s law”, testo di legge preparato da Chris e Connie, i genitori del piccolo Charlie Gard, coadiuvati da medici, specialisti, politici, bioeticisti e dai membri della Charlie Gard Foundation.

Un emendamento che cercava di impedire ai trust il ricorso al tribunale (così costoso economicamente ma anche umanamente per i genitori di un bambino malato) prima di avere esplorato opzioni meno onerose. Qui il testo incentrato sulla mediazione e il diritto ad accedere a una seconda opinione o disponibilità di trattamento che il trust dovrebbe impegnarsi a confutare scientificamente prima di negare. «L’intero processo ha aggiunto molta e inutile sofferenza ai genitori di Indi e non ha messo in buona luce l’assistenza sanitaria o la legge inglese», conclude l’Anscombe. «Se si potesse ricavare qualcosa di buono da questo caso terribilmente triste, sarebbe riprendere quell’emendamento tanto necessario».

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