Autoflagellarsi sulla schiavitù è diventato uno status symbol

C'è davvero poco di filantropico nell'esibire e fregiarsi delle donazioni erogate per riparare ai torti dei propri avi. La strana superiorità morale di Guardian, élite e istituzioni britanniche “orgogliose” di vergognarsi del passato

Il servizio pubblicato dal Guardian dopo aver incaricato gli storici di indagare sui fondatori della testata e i loro collegamenti con la tratta degli schiavi

Le chiamano compassatamente “restituzioni”, ma c’è davvero poco di filantropico nel trend di esibire e fregiarsi delle donazioni erogate per riparare a torti e peccati di schiavitù dei propri avi, «gran parte di questa autoflagellazione per i peccati del passato serve in realtà a posizionarsi come più morali di tutti gli altri. C’è un orgoglio perverso in tutto ciò», ha ben scritto su Spiked James Heartfield, autore di Britain’s Empires: A History, 1600-2020.

Non c’è giorno senza che si allunghi la lista delle istituzioni britanniche impegnate a fare ammenda, in primis la monarchia: re Carlo III ha annunciato che aprirà gli archivi e la collezione reale di Buckingham Palace all’Università di Manchester, impegnata a setacciare il rapporto tra la corona britannica e la tratta degli schiavi nel XVII e XVIII secolo. Lo studio, condotto con l’Historic Royal Palaces, verrà completato nel 2026, l’annuncio del re invece segue la “maxi inchiesta” sullo stesso argomento pubblicata dal Guardian.

La giustizia riparativa sbandierata dal Guardian

Da quando la proprietà, la società Scott Trust, ha annunciato che sosterrà un programma decennale di giustizia riparativa, dopo che una ricerca indipendente ha messo in luce i legami tra John Edward Taylor, giornalista e commerciante di cotone che fondò la testata nel 1821 e la schiavitù transatlantica, il Guardian sta concentrando la sua attività su nuovi asset: scusarsi, finanziare progetti per le minoranze, creare dodici nuovi ruoli giornalistici per lanciare nuovi formati editoriali “dedicati alla causa”, chiedere alle squadre di calcio del Manchester City e del Manchester United di togliere dai loro stemmi le navi che ricorderebbero la tratta degli schiavi, erogare borse di studio solo per giornalisti neri, incaricare tre produttori neri di realizzare un podcast dedicato agli aggiornamenti sull’indagine sul passato oscuro del giornale. E soprattutto, stanare i pronipoti degli schiavisti.

Da qui la pubblicazione di un documento che dimostra l’acqua calda, ossia il trasferimento di azioni dalla Royal African Company (che deportava schiavi dall’Africa) a re Guglielmo III, nel 1689, e di un’altra serie di scartoffie che attestano la provenienza di gioielli e pezzi inestimabili consegnati alle regine quali trofei dall’India. E fa niente se la crociata per sopprimere la tratta servì a giustificare qualunque azione militare britannica volta ad accaparrarsi nuove colonie, la monarchia è in buona compagnia.

I risarcimenti di università, banche e Chiesa d’Inghilterra

L’università di Cambridge ha impegnato un milione di sterline in borse di studio destinate a studenti africani o dei Caraibi per indagare «i legami del college con la tratta transatlantica degli schiavi». L’Università di Glasgow pagherà 20 milioni di sterline per un centro di ricerca all’Università delle Indie Occidentali. Dalla Banca d’Inghilterra (che secondo la ricerca commissionata allo storico Michael Bennett conta ben 25 tra ex governatori e direttori proprietari di schiavi, la stessa banca ne aveva “posseduti” 599) a Barclays, dalla Royal Bank of Scotland a HSBC a Lloyds, non c’è grande istituto finanziario che non abbia scoperto con orrore (e pubblicato dichiarazioni di condanna e scure, assunto impegni di inclusività) di annoverare qualche fondatore o amministratore legato alla tratta degli schiavi. Cento milioni di sterline quelle invece impegnate dalla Chiesa d’Inghilterra per «riparare i torti del passato» e garantire «un futuro migliore e più equo per tutti, in particolare per le comunità colpite dalla schiavitù» (della sua trasformazione a sparuta ong ossessionata dal razzismo Tempi aveva già parlato qui).

Non che questo spargimento di pianti, soldi (di fatto quasi sempre destinati a investimenti in università) e ceneri collettivo abbia impressionato intellettuali e accademici: c’è chi ha denunciato con disgusto la «moda» di produrre rapporti sulla schiavitù allo scopo di farsi pubblicità (mettendo spesso in difficoltà le persone di colore deputate negli atenei britannici a un lavoro del genere). E c’è chi, come Hearfield, rileva un certo assurdo «orgoglio» nella vergogna: l’Università di Glasgow si è vantata di essere stata “la prima università del Regno Unito a riconoscere i suoi collegamenti con la schiavitù”. E sul Guardian l’editorialista Nesrine Malik ha liquidato le critiche allo sbandierato programma di “giustizia riparativa” spiegando che ci sono due tipi di futuro davanti a noi: uno dilaniato dalle  disuguaglianze, razziali ed economiche, in cui vengono rivolte pernacchie a chiunque parli di schiavitù tacciandolo di wokeness, e un altro in cui la Gran Bretagna ha capito che è “ora di crescere e so di quale preferirei far parte”.

Autoflagellarsi sulla schiavitù è diventato uno status symbol

«È un interessante ribaltamento dei tavoli. Quelli che parlano apertamente dei propri legami con la schiavitù vengono considerati adulti, mentre coloro che protestano di non avere tali legami sono “bambini che spernacchiano”». Confrontarsi con il proprio passato è diventata “noblesse oblige”, «Gli aristocratici stanno cercando di dimostrarci di essere superiori, in virtù della responsabilità che si assumono per i meno fortunati», scrive Heartfield a nome di tutti quelli come lui che, a differenza delle Laura Trevelyan (giornalista della Bbc, discendente dei proprietari di piantagioni a Grenada e alle prese con articoli e finanziamenti di scuole per i discendenti degli schiavi), discende come la gran parte degli inglesi discendente da braccianti agricoli, muratori e commessi: ?

«L’autoflagellazione sulla schiavitù è diventata una sorta di status symbol. La maggior parte di noi non visiterà le isole caraibiche di proprietà dei nostri antenati, scusandosi con i discendenti di coloro che hanno lavorato lì, perché la maggior parte dei nostri antenati non ha mai posseduto niente del genere. Scusarsi per il passato di proprietari di schiavi della propria famiglia è un modo per le persone benestanti di ricordare a tutti noi che sono ricchi e importanti. Pagare un giovane ricercatore per scovare le storie dei tuoi malvagi antenati è ora un bene di lusso per i benestanti».

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