«Professò, ma poi?». Insegnare l’arte della sartoria napoletana in un carcere minorile

Di Elisabetta Longo
22 Febbraio 2015
Un famoso sarto di Napoli, Pino Peluso, ci racconta il suo corso "dietro le sbarre" del penitenziario minorile di Nisida

OLYMPUS DIGITAL CAMERADai clienti prestigiosi ai ragazzi difficili. Il sarto napoletano Pino Peluso non si è mai tirato indietro di fronte alle sfide difficili. Per questo non si è spaventato quando la Regione Campania gli ha proposto di andare a insegnare a detenuti minorenni la nobile arte della sartoria da uomo. Il carcere minorile di Nisida si trova su un’isoletta di fronte a Napoli, e lì Peluso sta insegnando ai ragazzi, da zero, a preparare un gilet anche se alla fine, come vedremo, non è solo questo il risultato.
Ogni lunedì, martedì e venerdì il sarto si congeda dalla sua prestigiosa sartoria nel centro di Napoli per andare dai suoi studenti. Al mattino fa lezione a un gruppo di ragazze, quattro, al pomeriggio a undici baldi giovani. Peluso già insegna alla Camera europea dell’Alta sartoria, essendone il vicepresidente, ma questo è tutto un altro genere di “utenza”. «Alle mie spalle – racconta a tempi.it – ho parecchie generazioni di sarti, è così è stato naturale seguire questa strada. A 12 anni già bazzicavo nel laboratorio dei miei genitori e, talvolta, invece che andare a scuola, andavo in uno dei tanti laboratori di sartoria presenti a Napoli. Non volevo andare alle superiori, avevo già la sartoria nel sangue».

PROFESSO’, MA POI? Oggi Peluso è un professionista affermato e sa bene quante ore e quanta pazienza occorra per preparare un abito di qualità. Pazienza e precisione, ecco le due parole che, nelle ore di lezione coi detenuti, diventano di fondamentale importanza: «Guai a perdere un solo attimo con loro. Bisogna sempre sollecitare la loro attenzione. È stato così fin dal principio. Sono ragazzi che non sanno cos’è l’attesa. “Fuori” sono stati abituati a prendere tutto e subito, poco importa se legalmente o illegalmente. La domanda che mi fanno più spesso è: “Professò, ma da grande cosa potrò fare?”. Potresti fare il sarto, rispondo loro. “Ma qui a Napoli, sapendo i miei trascorsi, non mi assumerebbe nessuno”. Quando ribatto loro che potrebbero andare altrove, avendo come punto di forza il saper cucire e l’essere napoletano, rimangono stupiti».
Nel carcere di Nisida si tengono anche altre attività, come laboratori di falegnameria e artigianato. Quando hanno detto loro che il nuovo laboratorio sarebbe stato di “taglia e cuci” sono rimasti perplessi: “Ma non vorrete mica farci diventare delle sartine?”. Poi, invece. «Siccome nel carcere vengono prodotti i classici pastori da presepe napoletano, alti 40 centimetri, ho proposto loro, dopo qualche lezione, se non volessero confezionarne i costumi. Mi hanno detto di no, che ci tenevano proprio a imparare a ideare un gilet, per indossarlo e farlo vedere alla mamma».

VOGLIA DI RISCATTO. «Sto insegnando loro anche storia del costume, non durante ore apposite, bensì nel corso delle lezioni. A un certo punto, mentre spiego il perché di una piega o un punto, racconto aneddoti inerenti alla storia della moda, e loro imparano senza rendersene conto. Se entrando in classe dicessi: “Oggi storia del costume”, comincerebbero a volare palline di carta». Peluso non conosce i motivi per cui quei ragazzi si trovano privati della libertà, ma non importa: «Qualcuno mi ha detto che uscirà dal carcere tra una decina d’anni, uno che sarebbe uscito tra un paio di settimane, dispiaciuto di non poter completare il mio corso e imparare a fare quel gilet. Io spero che quei ragazzi un giorno vengano a bussare alla porta della mia sartoria, desiderosi di imparare. Se così fosse, sentirei di avere fatto il giusto».

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