L’insostenibile pesantezza del M5s, nonostante la leggerezza di Conte

Rassegna ragionata dal web su: il giusto benché goffo sfogo di Fassino contro l’antiparlamentarismo grillesco, le cause non estranee al Pd di questa deriva e come se ne esce (faticosamente)

Il presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte tra il segretario della Cgil Maurizio Landini (a sinistra) e quello della Uil Pierpaolo Bombardieri (foto Ansa)

Su Huffington Post Italia Stefano Folli scrive: «Ed è proprio questo che non gli si perdona. Che ci sia qualcuno così fuori dal tempo da voler difendere un istituto mal tollerato. Si dirà che il populismo grillino è ormai roba di ieri, prova ne sia che il movimento 5s nella versione plasmata da Giuseppe Conte non si distingue in nulla da una qualsiasi forza parlamentare il cui scopo sia rendere credibile un messaggio di sinistra massimalista. Non è proprio così. È vero, sono lontani gli anni in cui Grillo occupava piazza Montecitorio al grido di “Rodotà, Rodotà”, invocando il nome di nome di un celebre costituzionalista al solo scopo di strumentalizzarlo in modo velleitario come candidato alla presidenza della Repubblica. Quell’operazione politica serviva a sostenere l’antiparlamentarismo dei 5s, il loro disprezzo verso le assemblee legislative individuate come il punto debole di un sistema da abbattere».

Per Folli la denuncia di Piero Fassino, al di là della sua goffaggine, dell’antiparlamentarismo dei 5 stelle, è sacrosanta. A mio avviso non sbaglia. Deve però impegnarsi ad approfondire le cause di questa deriva. Se a inizio del Novecento l’antiparlamentarimo che produrrà prima le gloriose giornate di maggio del 1915 e poi il fascismo, nasceva dall’opposizione all’Italietta di Giovanni Giolitti che voleva fare entrare nello Stato i “neri” cattolici e i “rossi” socialisti, oggi l’antiparlamentarismo è stato essenzialmente alimentato dalle scelte di governare l’Italia dall’alto e dal fuori, scelte attuate svuotando indicazioni dal voto popolare. La disastrosa crescita dei 5 stelle al 32 per cento non è comprensibile senza l’insofferenza degli elettori che si erano visti vanificare le loro opzioni espresse dalle elezioni nel 1994, nel 2001, e nel 2008.

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Su Dagospia si riprende un articolo di Emanuele Buzzi per il Corriere della Sera dove si scrive: «“Abbiamo un governo reazionario e della restaurazione. Getta benzina sul fuoco. In modo consapevole sta programmando un incendio sociale”. A prendere di mira l’esecutivo è il presidente M5s Giuseppe Conte. Il leader stellato, intervenendo al convegno “Inflazione e salari: quali politiche?”, non usa mezze misure: “Sul piano interno hanno una visione: il darwinismo sociale. Hanno detto: ‘Vogliamo consentire a chi vuol fare di fare’. Ma se uno non ha da mangiare che può fare? Si può solo disperare”».

Le citazioni che riportiamo spiegano bene chi è Giuseppe Conte. Se il luciferino nichilismo di Beppe Grillo nasce anche dal talento di un affermato comico, le prese di posizione dell’avvocato pugliese sono degne di una macchietta di un film di Totò. Eppure l’influenza pentastellata è ancora forte. Da una parte non le mancano alcuni sostegni non secondari: la compagnia della Forca composta da magistrati arcimilitanti e giornalisti-squadristi ha un peso rilevante nelle vicende nazionali, così è influente la lobby filocinese che conta, oltre ai 5 stelle, su personalità come Massimo D’Alema e Romano Prodi, nonché su non piccoli supporti nel mondo delle imprese, e s’intreccia poi agli orientamenti di non secondari ambienti cattolici. Lo stesso mondo degli affari in cui galleggia (con ruoli minori) Conte ha un certo peso nel sistema italiano.

Ma la spiegazione dell’influenza che i grillini-contisti mantengono ancora non si trova né nell’abilità comunicativa dei leader né nell’influenza dei loro appoggi, bensì deriva essenzialmente dalla crescita di una massa amorfa priva di quei riferimenti culturali e sociali che producevano una politica anche di qualità nella Prima Repubblica. L’aver trasformato gli elettori da protagonisti a soggetti ininfluenti, scelta per di più intrecciata alla parallela crisi del movimento sindacale, è stata la base per il decollo di un movimento che ha disgregato e può ancora disgregare la nostra democrazia.

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Su Affaritaliani si scrive: «“Dobbiamo stare a fianco di questi veri e propri ‘esodati’ del reddito di cittadinanza che prima della scadenza dei 18 mesi previsti dal contratto firmato con lo Stato, si sono visti privare di ogni sussidio, oltretutto proprio nel mese di agosto. Ci sono le basi per un ricorso alla magistratura per ottenere il completamento dei benefici di legge fino alla fine del tempo previsto. Nel frattempo bisogna lavorare per una legge che sostituisca il Rdc non con misure confuse e problematiche come quelle oggi previste dal governo, ma con lavori socialmente utili che evitino alla gente assistita di vegetare o di fare del lavoro nero.” Così ha dichiarato l’onorevole Gianni Alemanno del Forum per l’indipendenza italiana. L’onorevole Alemanno e l’onorevole Taglialatela si sono poi recati davanti ai cancelli del Centro per l’impiego di Napoli dove è in corso un presidio di esodati del Rdc, per esprimere solidarietà e spiegare l’iniziativa intrapresa».

Il problema, poi, per la nostra democrazia non nasce solo dalla spoliticizzazione provocata tra il 1992 e il 2023 di una parte non secondaria della nostra società, ma anche dal fatto che la scena nazionale è frequentata da numerosi fantasmi dotati di una lingua esperta ma privi ormai di qualsiasi reale legame con la nostra storia e società. L’aver contrastato una vera dialettica politica fondata sugli elettori nella Seconda Repubblica, quella che avrebbe potuto far crescere formazioni come il Partito delle libertà e l’Ulivo/Partito democratico, oltre all’antiparlamentarismo ha provocato anche un fenomeno da “morto che afferra il vivo”, con personalità dotate di parola ma non più di cuore che non di rado emergono in un’impazzita discussione pubblica.

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Su Formiche Gianfranco Pasquino scrive: «A rispondere dovrebbero essere Ettore Rosato (Italia viva), relatore della legge che porta il suo nome, triestino, attualmente parlamentare della Campania; Maria Elena Boschi (Italia viva), aretina, già indefessa sostenitrice delle liste bloccate dell’Italicum, candidata in Calabria e Lazio, parlamentare del Lazio; e, naturalmente, lo stesso Fassino (Partito democratico), torinese, deputato del collegio di Venezia. Sono solo tre esempi, ma significativi».

Nel contesto che ho cercato di descrivere, non è facile immaginare come si possa ricostruire quel rapporto tra rappresentati e rappresentanti a cui si riferisce il Pasquino sopra citato. Così a occhio mi pare difficile credere che si possa ricostruire una forma partito simile a quella esistita nella Prima Repubblica. Non mi sembra che vi siano né le condizioni storiche né quelle sociali né quelle culturali per farlo. Oggi, nella realtà delle cose, esistono due grandi tendenze politico-culturali, una conservatrice (popolare, patriottica, liberale) e una progressista (socialista, ecologista, liberal) che offrono più una base di valori che una primorepubblicanamente ideologica. Forse per ricostruire comunità di destino capaci di aiutare la nazione a darsi un destino, bisognerebbe puntare a un rapporto molto stretto tra eletti ed elettori, un rapporto che forse solo collegi uninominali combinati con primarie potrebbero consentire.

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