
Intercettazioni al Quirinale: Napolitano contro i pm di Palermo
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha deciso di sollevare un conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale contro la procura di Palermo per le decisioni che ha assunto sulle intercettazioni fra lo staff del Capo dello Stato e Nicola Mancino.
Napolitano e l’Avvocato generale dello Stato hanno considerato le intercettazioni effettuate, anche se indirette, lesive di prerogative attribuitegli dalla Costituzione. Come ha anche sostenuto Eugenio Scalfari nei giorni scorsi, a differenza di quanto sostiene la Procura di Palermo, il presidente della Repubblica non avrebbe soltanto l’immunità prevista per i parlamentari ma garanzie particolari attribuitegli costituzionalmente che impediscono di mantenere agli atti qualsiasi intercettazione diretta o indiretta o occasionale, di là dalla rilevanza processuale che potrebbe avere. Ciò in base all’articolo 90 della Costituzione e dell’articolo 7 della legge 5 giugno 1989, n. 219 dove è sancito che le intercettazioni del presidente della Repubblica, salvo i casi di alto tradimento o attentato alla Costituzione, «sono da considerarsi assolutamente vietate e non possono quindi essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte e di esse il pubblico ministero deve immediatamente chiedere al giudice la distruzione».
«Alla determinazione di sollevare il conflitto», afferma una nota del quirinale, «il Presidente Napolitano è pervenuto ritenendo “dovere del Presidente della Repubblica”, secondo l’insegnamento di Luigi Einaudi, “evitare si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell’occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce”».
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