
Intercettazioni. Quanto rumore per un «bavaglio» che c’è già
Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Grande è la confusione sotto il cielo delle intercettazioni, anche se forse quel che accade non accade proprio per caso. In Parlamento un emendamento alla riforma del processo penale, inopinatamente presentato alla fine del luglio più caldo degli ultimi vent’anni dal deputato Alessandro Pagano (Ncd), ha proposto il carcere da 6 mesi a 4 anni per chi registra di nascosto e «in modo fraudolento» una conversazione che possa «recare danno alla reputazione o all’immagine altrui».
Com’è ovvio, sui giornali sono esplose mille polemiche e sono presto balzate in su, fino alle stelle: i magistrati sindacalizzati e i portavoce del populismo giudiziario si sono messi a gridare al «bavaglio», alla ferita inferta alla Costituzione. Il Fatto quotidiano è riuscito perfino a travolgere un pubblico ministero solitamente raziocinante e competente come Nicola Gratteri, procuratore aggiunto a Reggio Calabria e da anni in prima fila contro la ’ndrangheta: «Qui si aiutano i boss», ha dichiarato Gratteri al Fatto. E ha spiegato: «Noi sproniamo continuamente i cittadini a collaborare con lo Stato nella lotta alle mafie; chiediamo che denuncino, che non siano omertosi. È davvero molto grave lanciare il messaggio che adesso lo Stato vuole l’opposto, cioè punire l’imprenditore che ha la prontezza di registrare con il cellulare chi lo minaccia o gli chiede il pizzo. Anche perché gli avvertimenti avvengono una volta sola, poi arrivano le bombe. Noi non possiamo permettere contraddizioni così evidenti, abbiamo davvero bisogno dell’aiuto della gente nella raccolta della prova».
Il solito bluff estivo
Hanno strepitato i giornalisti, Le Iene, gli inviati di Striscia la notizia. Come faranno a proseguire nel loro lavoro se privati dello strumento della registrazione nascosta? Il guardasigilli Andrea Orlando ha preso le distanze dall’alleato di governo e ha parlato di un evidente «errore».
Ma è altrettanto evidente che questa polemica estiva è stata un bluff. Perché, come spiegano i giuristi più avveduti, primo fra tutti l’ex ministro della Giustizia ed ex presidente della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick, nessuno potrà mai punire chi registra, sia pure di nascosto o «fraudolentemente» una propria conversazione: né se costui è un giornalista, né tantomeno chi lo fa per tutelarsi da un reato, per esempio l’imprenditore vittima del pizzo mafioso nell’esempio fatto da Gratteri. Al contrario, Flick spiega con semplicità che la proposta del deputato Pagano è, purtroppo, totalmente inutile. Perché per punire con il carcere fino a 4 anni chi invade la corrispondenza privata altrui, o chi «ruba» una conversazione fra terzi, già oggi è a disposizione una fitta sequenza di articoli dell’attuale Codice penale (per l’esattezza gli articoli 615 bis, 616 e 617). Con pene pesanti.
Il vero scopo del finto scandalo
Nella fattispecie, chi accede abusivamente a un sistema informatico o telematico rischia da uno a cinque anni di carcere; chi rivela anche in parte il contenuto della corrispondenza tra altre persone ne rischia fino a tre; e chi invece diffonde il contenuto di comunicazioni o conversazioni altrui rischia quattro anni di carcere. Proprio come propone Pagano. E questo senza che la diffusione (come invece suggerisce il deputato) debba minimamente «recare danno alla reputazione o all’immagine altrui».
Ma allora perché tanta confusione, perché tanto scandalo, perché tanta indignazione a poco prezzo? La spiegazione sta nell’immediato risultato di questa operazione: in questo ennesimo, assurdo caos, la discussione sulla riforma del processo penale è saltata un’altra volta. Tutto si è fermato e rischia di essere rinviato, chissà, a settembre. Ben oltre le calende greche…
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