
Io, pellegrino senza polmone, sulla via di Loreto

Ma ci credete voi che ho percorso quasi trenta chilometri a piedi, di notte, dalle 22 alle 7 del mattino, camminando in continuazione, senza un minuto di sosta, eppure eccomi qua, sebbene squartato perbenino di mezzo polmoncino per un carcinoma di quelli che come dicono i nostri geni della medicina “se-tra-dieci-anni-sei-vivo-vuol dire-che-sei-guarito”, in perfetta forma, anche dopo un massacrante pellegrinaggio, agile e in carne come un torello texano?
UNA CURIOSITÀ DELL’ALTRO MONDO
E tiè, eccomi, a 24 ore dalla sudata Macerata-Loreto, con in corpo neanche un graffio di acido lattico, nemmeno un mal di piedi, perfettamente in pista con i cinquecento emendamenti presentati dall’opposizione in consiglio comunale, onde contrastare l’ennesimo aumento dei prezzi dei mezzi pubblici a Milano (e sono 2 euro, e brava la sciura coppia rossa Pisapia-Sala, ben 100 per cento di aumenti di biglietti di tramvai e metropolitane in soli otto anni!). E d’accordo, non sono un pellegrino alle prime armi, a sessantadue anni inoltrati certe cose le si prendono senza neanche una emoticon. Però, con tutto il compatimento per sé che ci vuole per darsi alla pazza gioia di un cammino e basta – ehi, lo dico a voi che vi toccherà farne almeno altri ventiquattro per sapere che «nel mondo c’è una gran casa» – non si può non ammettere che ci dev’essere una curiosità dell’altro mondo che fa uscire per strada così tanta gente, chi per camminare (e quest’anno pare fossero 80mila), chi per seguire i pellegrini come se passasse il Giro d’Italia e non c’è in giro neanche la Gazzetta dello Sport che organizza la parata.
LA SIMPATIA PIENA E SCETTICA DEL MIO TROISI
Voglio essere però veramente franco: se come in una parmigiana un po’ troppo annegata nel sugo ci avessero evitato sia la paranza dell’amore e della pace universali della premiata islamica dal presidente Mattarella, l’algerina che è riuscita a metterci il sospetto che i monaci di Thiberine siano stati vittime di un qualche grosso terremoto piuttosto che di un casino islamico, sia infine, le doppie e triple prediche di preti, vescovi e cardinali, noi 80mila forse saremmo stati un attimino meglio. Non vorrei sembrare costruttore di muri e anticlericale quando non c’è uno come il sottoscritto che abbia dato prova nel corso della sua vita di aver costruito ponti abbastanza grandi da farci passare un carroarmato e valorizzato la ditta ecclesiastica più di tutta la pipì fuori dal vaso fatta da un qualsiasi Alberto Melloni d’ordinanza. Però ogni limite ha una pazienza, come diceva Federico, il mio amico francobollo lungo il sali e scendi del serpentone di straduzze marchigiane, una specie di Troisi dalla simpatia piena e scettica del partenopeo doc. E poteva esserci coincidenza più perfetta?
IN CODA A SOCCORRERE I RANTOLANTI
Il mio Troisi era un medico nucleare incontrato per caso su un pullman di scalmanati, i famosi Amici di Zaccheo, che quest’anno sono stati beneficiati da plurime citazioni vescovili, risultando il gruppo più famoso della 41esima edizione. La cosiddetta “scopa” del pellegrinaggio, che chiudeva il fiume di viandanti sotto la croce donata nel 1993 da san Giovanni Paolo II e che (si fa per dire, perché in realtà lasciavano i rantolanti nelle mani delle lettighe) avevano l’onere e l’onore di soccorrere gli affaticati.
Ma dicevo del clero. Lasciamo stare papa Francesco, che ci sta. Dopo tutto è il Vicario di Cristo. Ma puoi fare una messa con una mezza dozzina di prediche la sera, poi vescovi e cardinali vanno pure a nanna e ci vengono a ripredicare al mattino, quando il solo pensiero che è tutto così bello di qua e bellissimo di là, per non parlare della tenerezza e del cuore, ti viene proprio su dal fondo dell’anima come il rigurgito di un neonato, sia o no focolarino? Eh, sì, saggezza partenopea, ogni limite ha una pazienza.
IERI COL PASS, OGGI TRA GLI ZACCHEI
La prima volta di questo cammino epico mi accadde un tre o quattro anni fa. Ma allora facevo ancora il giornalista militante, la presi alla larga e per arrivare a Macerata passai da Napoli dopo una giornata trascorsa avventurosamente su trenini cowboy. Infine mi accomodai con un pass da privilegiato nel backstage dello stadio e mi aggregai alla Woodstock religiosa zigzagando genuinamente alla macchia rispetto ai gruppi organizzati di fedeli. Questa volta, invece, mi sono intruppato fin dall’inizio della 24 ore della Madonna. A cominciare dal pullman catorcio di re Davide Maddaloni, guru e animatore capo degli Zacchei, che a detta dell’autista più pazzo del mondo sarebbe stato un pullman che «vale 600mila euro» – non mi dica che è della scuderia Elon Musk, ma allora perché ha questo sedile tenuto insieme dallo scotch, le gomme che ci può fare il surf e sono qui incastrato che mi viene una paralisi se viaggio seduto? Vale seicentomila come io sono Elon Musk e, guarda un po’ che fortuna, mi dice l’autista, «adesso riponga immediatamente lo zaino nel portabagagli che voglio mica essere responsabile se per caso succede un incidente brucia il pullman e gli zaini sono di inciampo per la fuga». Però, avrebbe detto la Madonna: neanche in una fuga verso l’Egitto si sarebbero trovati dei dorsi di asino così.
IL VESCOVO, IL POETA, I GALEOTTI E I TOSSICI
Devo ammettere che non c’è prete più «anima e guida del pellegrinaggio», come giustamente lo definiscono le cronache, di monsignor Giancarlo Vecerrica. L’uomo che quarantuno anni fa, da pretino di religione in liceo, fece ripartire con i suoi alunni questo cammino medievale che si era perduto tra le erbacce di campagna. Anche domenica scorsa il don poi Vescovo e adesso oltre il passo della pensione marciava, come sempre, alla testa del serpentone. Dopo di che, ho risentito l’altro Davide, il poeta Rondoni, questa volta in veste di Leopardi che ha testimoniato, spiegato e recitato l’Infinito. Così come con piacere ho riascoltato le testimonianze di carcerati semiliberati dalla galera di Padova grazie all’associazione Giotto. E, ahinoi, con dispiacere ho sentito le voci sempre più ragazzine ma cupe dei tossici messi a dimora comunitaria grazie a gruppi famigliari come Pars.
PERFINO IO, NELLA MACEDONIA DEL “NDMP”
In tutti costoro ho rimasticato la prova che il pellegrinaggio è, come ha detto il Papa nella classica telefonata di abbrivio, un «andare avanti, andare insieme». Poi questa volta è arrivata pure la domanda alla Jannacci. «Ma don Vecerrica lei porta le scarpe da tennis?». «Si ma con la veste da vescovo». «È una bella macedonia, mi piace». Ecco la Macerata-Loreto è una bella macedonia. E perfino io, alla fine di una specie di cerimonia di consacrazione fatta dai vescovi, mi sono ritrovato nel NDMP. Che poi non è un partito ma una macedonia di Nuovi Discepoli Missionari del Papa. Ecco, infine stavamo andando proprio forte con l’NDMP quando sento uno molto del sud, incuriosito dal giganteggiare luminoso del cartello sotto il quale camminava orgogliosa la baldante compagnia degli Amici di Zaccheo, chiedere a un’amica di Zaccheo molto del nord: «Siete per caso un’associazione di ristoratori?». E lei, schifata «no, ha presente quel personaggio del Vangelo che sale sull’albero per vedere Gesù?». E l’altro, per niente persuaso «sa al mio paese c’è il ristorante “Da Zacco” e io credevo…». «Credeva… come glielo devo spiegare che non siamo un ristorante!?». E sembrava una Madonna a mano armata di rosario.
Foto: Leonora Giovanazzi
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!