
Io Sancio, e Ratzinger il mio ingegnoso hidalgo

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Mi domando perché amo Ratzinger, perché i novant’anni di Benedetto XVI mi importano e mi commuovono, perché considero un privilegio aver vissuto e vivere nel tempo di un Papa teologo e di un Papa emerito silenzioso, meditativo, orante, io che sono tutto chiasso e occasione terrena. Me lo domando passeggiando con le mie canuzze lungo il Collegio dei Bernardins, a rue de Poissy, sotto casa mia, a Parigi, il luogo in cui furono pronunciate parole bellissime e durature sulla cultura europea, sull’umanesimo cristiano dei monaci, sulla musica come canto della fede e riscontro della ragione che ne offre l’idea e lo svolgimento. E mi stupisco sempre, quando torno a Roma, nel pensare, oltre alle cose mortali di ogni giorno, all’elicottero dell’abdicazione che solca il cielo e indichiamo a dito dalla redazione del Foglio aperta sul Tevere, verso Castelgandolfo, a «cette harmonie de rouge, d’or et de violet qui enchantait Stendhal» (Gabriel Matzneff), prima che arrivassero le scarpe ortopediche, le grisaglie, le croci di ferro e altre testimonianze di povertà evangelica.
Non sono un esteta o, se e quando tento di esserlo, concilio il gusto, la sensazione, con la riflessione in prosa, la mia letteratura è fatta di brevi osservazioni in tondo e in corsivo, poca roba e senza pretese. Sono un innamorato della teologia, dalla patristica agli ultimi due Concili Vaticani, Riforma compresa da Lutero a Barth, e intuisco le gioie segrete della liturgia per i credenti, ma non è dei suoi libri, dei suoi saggi, delle sue omelie, dei suoi canoni filosofici, che sono così preso e affascinato, o non solo di quelli. Non avendo la fede nella Resurrezione, mi accontento di essere devoto alla continuità e alla storia di chi quella fede ha custodito, reinventato in ogni tempo tra idee cariche di vita e di martirio.
Una strana venerazione filiale
Ecco, il Papa bianco, bavarese, che ha ceduto l’anello piscatorio, che risiede in un piccolo monastero vaticano in alto sul colle, che tace dopo aver tanto parlato per quasi un secolo, lo considero un padre del tempo. La sua amicizia leale con il santo polacco che ha fatto stramazzare la parodia del cristianesimo pauperista chiamata comunismo bolscevico, la sua attenzione rigorosa e mai pedante alle questioni della morale corrente, che per noi laici e senza fede dovrebbero stare al primo posto senza forzature e chiusure, ma senza noncuranze impossibili, e la figura minuta, fragile, riluttante e tenerissima dell’uomo, queste sono le sorgenti del mio augurio festoso e di una strana venerazione filiale che ho provato poche volte nella mia vita e per pochi esseri umani.
L’ingegnoso hidalgo Don Chisciotte impazzì con sì grande saggezza per aver letto troppi romanzi cavallereschi e, prima di abdicare e come rinsavire dopo aver perso il suo ultimo duello, dispiegò nella nascita della letteratura moderna e del racconto che si pensa come apologia e si mette in scena come intreccio comico, la realtà per quel che potrebbe essere. Vaste programme, perfettamente realizzato da un guerriero di Lepanto, esattore del monarca e vagabondo.
Due pulpiti per ogni dito
Ratzinger, il cui modello aristocratico è la famiglia dei Wittelsbach di Baviera, la più antica dinastia europea, ha insistito sul punto con gioiosa ostinazione. Si è calato nella grotta di Montèsino anche lui e, tornato che ne fu, ha cercato di rispiegare al mondo, compito eccellente della chiesa, che la Resurrezione del Salvatore è cosa vera e immensamente, infinitamente cavalleresca, un riscatto dell’orrore dell’esistenza mortale possibile attraverso una collezione di buoni e vecchi libri, a coronamento della liturgia e della preghiera.
«Sancio sentiva tutto questo, e diceva tra sé:
– Questo mio padrone, quando io parlo di cose di midollo e di sostanza, suol dirmi che potrei prendere un pulpito in mano e andar predicando bei sermoni per lo mondo; ma io dico di lui che quando comincia a infilzare sentenze e a dare consigli, non solo può prendere un pulpito in mano, ma due per ogni dito, e andarsene per le piazze predicando quello che gli viene alla bocca: venga il malanno a questo cavaliere errante che sa tante cose: io credeva, per l’anima mia, che non fosse valente se non che negli affari della cavalleria, ma non c’è cosa che non la pizzichi, ed in cui non sappia dire la sua».
Con realismo ecclesiastico, stile rinascimentale, coraggio e saggia improntitudine, Ratzinger è stato ed è a novant’anni, almeno per noi Sancio, uno che può prendere due pulpiti per ogni dito, non c’è cosa che lo pizzichi, ed in cui non sappia dire la sua, l’incarnazione di un Re filosofo al quale si addiceva la Renuntiatio finale in un mare di speranza invece che in un lago di malinconia, come successe al mio amato hidalgo. Ci ha detto di provare a non essere fessi, provare a immaginare, ché conviene a noi e alla regola di vita e di pensiero del mondo in cui viviamo, e così ci è stato ed è sereno e sommo maestro.
Foto Ansa
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