
Io, tunisina, «non trovo scandalose alcune chiusure della destra sull’islam»

Tutti i quotidiani hanno commentato la vittoria dei socialdemocratici in Danimarca perché avvenuta con una modalità che manda in crisi gli “schemi” politici italiani. La giovane leader Mette Frederiksen (41 anni) è arrivata al potere con un programma che ricalca i temi classici della sinistra, con una differenza importante: una intransigente lotta all’immigrazione clandestina. «Non c’è posto per tutti – era il mantra della Frederiksen – e chi arriva deve rispettare la nostra società. Chi viene accolto e rifiuta di integrarsi, e non rispetta i nostri principi come l’assoluta parità tra uomo e donna, va espulso senza perdere tempo».
Demonizzare i muri
Federico Rampini su Repubblica (La lezione della Danimarca, 7 giugno) ha segnalato come nella sinistra si inizi a intrufolare il dubbio che continuare a sottovalutare i problemi generati dall’immigrazione, sia un problema:
«Un segnale della riflessione autocritica sugli errori del passato è su una delle riviste più autorevoli della sinistra americana, The Atlantic. David Frum vi ha pubblicato un saggio sulle politiche migratorie con questo titolo-shock: “Se i progressisti non fanno rispettare le frontiere, ci penseranno i fascisti”. Nel lungo articolo tornava più volte sul concetto: se la sinistra si ostina a dire che governare l’immigrazione è una cosa da fascisti, spinge verso l’estrema destra tanti cittadini che vogliono il rispetto delle leggi. Un’altra firma del giornalismo liberal, Thomas Friedman, ha scritto sul New York Times che il Muro al confine non va demonizzato (peraltro iniziò a costruirlo Bill Clinton)».
Gli ultimi. Ma i penultimi?
Non è la prima volta che Rampini prende posizioni controcorrente rispetto alla melassa mainstream di sinistra (una volta, noi di Tempi riprendemmo con questo titolo un suo articolo: “Se volete capire il fenomeno Trump non leggete Repubblica, dice Repubblica”). Né il giornalista di Repubblica né il New York Times sono diventati all’improvviso salviniani o trumpiani. Semplicemente, con un po’ di onestà e comunque sempre da posizioni “di sinistra”, si rendono conto che la stereotipata e manichea divisione del mondo in “razzisti/anti-immigrati” contro “buoni/pro-immigrati” è una semplificazione che non tiene conto di molte problematiche reali e concrete vissute dalla gente comune. Come ha detto lo stesso Rampini in diverse occasioni: «La sinistra, preoccupata per gli ultimi, si è scordata i penultimi».
Non c’è posto per tutti
Insomma, la realtà è sempre più grande delle categorie in cui si cerca di ingabbiarla. Riprova ne è un articolo apparso venerdì sulla Stampa (Quei migranti sedotti dagli slogan della Lega: “Capiamo chi la vota”) che, al di là del titolo un po’ fuorviante, segnalava che nella chat online in cui si ritrovano gli immigrati che vivono in Italia, compaiono spesso punti di vista controcorrente e che non trovano spazio nel dibattito pubblico.
«Non c’è posto per tutti è evidente», dice Fouad, 55 anni, partito dal Marocco quando ne aveva 25 e oggi è fiero commerciante. «Noi siamo arrivati molti anni fa – spiega Fouad – abbiamo faticato moltissimo per integrarci e trovarci una posizione di rispetto in questo Paese. Vedere che oggi veniamo messi allo stesso livello dei nuovi arrivati, che hanno poca voglia di integrarsi e lavorare, ci mette in difficoltà. Per questo sono d’accordo nel porre dei limiti agli ingressi in Italia. Chi è qui da tanto tempo ha già molte difficoltà. Aggiungere altre persone significa portare il rapporto di convivenza italiani-stranieri al massacro». «Ti dirò una cosa – racconta invece Nora, 40 anni, tunisina e mamma di due figlie nate in Italia da un matrimonio misto – Io non trovo scandalose alcune chiusure della destra sull’Islam. Anzi, sono molto d’accordo. Conosco bene l’ideologia conservatrice ed estremista della mia fede, e lasciare spazio a chicchessia in nome della libertà religiosa è molto pericoloso. Io sono qui con le mie figlie e vorrei vivere in libertà senza discriminazioni misogine. Trovo giusto il controllo e la condanna di alcune usanze».
Foto Ansa
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