
L’ennesima “ultima chiamata” dell’Ipcc sul clima

Gli esperti dell’Ipcc, il panel delle Nazioni Unite che studia l’impatto delle attività umane sui cambiamenti climatici (e viceversa), hanno pubblicato una sintesi del loro nuovo report, rilanciato sui media con la solita litania di “il pianeta è in pericolo”, “bisogna agire ora”, “questa è l’ultima chiamata per cambiare le cose”. Allarmi già sentiti, ripetuti a ogni documento sul clima dell’Onu e a ogni Cop da una ventina d’anni almeno.
La via stretta indicata dall’Ipcc
Forse accortisi che gridare “al lupo! al lupo!” e basta serve a poco, gli “scienziati” dell’Ipcc (le virgolette sono dovute al fatto che il panel onusiano ha al suo interno letteralmente di tutto, non solo climatologi, ma anche economisti, statistici, scienziati politici, ingegneri, tuttologi) questa volta hanno almeno aggiunto che esiste una «strada praticabile, ma stretta» per evitare i peggiori effetti del cambiamento climatico. “Stretta” perché per limitare l’aumento delle temperature medie globali a 1,5 gradi Celsius le nazioni del mondo dovrebbero ridurre insieme le emissioni di gas serra del 60 per cento entro il 2035. Un livello di tagli che richiederebbe un cambiamento massiccio e rapido nell’approvvigionamento energetico mondiale. Un cambiamento che è in corso in alcuni paesi, ma è stato soffocato dalla guerra in Ucraina, dalla crisi energetica globale e dalla voglia di crescita economica in paesi come la Cina e l’India.
Il fatto è che le emissioni globali di gas serra hanno raggiunto livelli record nel 2022 e si prevede che continueranno la loro traiettoria ascendente. Il report prova a buttarla sull’ottimismo, però, spiegando che se i paesi di tutto il mondo saranno in grado di bilanciare emissioni e rimozioni di anidride carbonica e altri gas serra per raggiungere uno stato di “zero netto” intorno alla metà del secolo, la temperatura della Terra potrebbe iniziare a stabilizzarsi circa un decennio dopo. Forse per sottolineare che quando ci sono di mezzo le previsioni dell’Onu spesso la scienza si confonde con la fiction, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha detto che «il nostro mondo ha bisogno di azione per il clima everything, everywhere, all at once», citando il film pluripiemato agli Oscar.
L’Ipcc e l’utopia delle emissioni zero
L’Ipcc consegna ai governanti di tutto il mondo il suo trattato semi-apocalittico, fa considerazioni su investimenti economici e tecnologie da impiegare per fermare l’aumento delle temperature (e a questo punto però non è più “scienza non negoziabile”) e dice alla politica che da qui in poi sono tutti affari suoi: il prossimo report è atteso per il 2027, senza fretta. Puntare su eolico, fotovoltaico e litio (la cui estrazione però produce moltissima CO2) e via verso «il salto quantico» auspicato da Guterres.
Basterà che i paesi sviluppati raggiungano zero emissioni entro il 2040 e le economie emergenti attorno al 2050. Come? Facilissimo, lo spiega Domani in un suo articolo: «Tutta l’elettricità deve diventare rinnovabile nel 2035. Bisogna fermare l’approvazione di ogni nuovo progetto fossile e ogni espansione delle riserve attuali. I settori più difficili (cargo, aviazione, acciaio, alluminio, cemento) devono trovare il modo di decarbonizzarsi entro il 2050». Un piano enorme, costosissimo e senza alcuna certezza di successo.
Usa e Cina continuano a puntare sui combustibili fossili
Prima di prepararci alla fine del mondo, però, conviene rileggere cosa scriveva poco tempo fa Bjørn Lomborg su Tempi: «È facile essere portati a credere che la vita sulla Terra sia in continuo peggioramento. I media enfatizzano costantemente una catastrofe dopo l’altra e fanno previsioni terrificanti. Davanti a un diluvio di profezie di sventura sul cambiamento climatico e l’ambiente, si capisce perché molte persone – specialmente i giovani – sono sinceramente convinte che la fine del mondo sia vicina. La verità invece è che i problemi restano, ma il mondo sta migliorando. Solo che raramente lo sentiamo dire. Si raccontano incessantemente disastri, siano essi l’ultima ondata di caldo, inondazioni, incendi o tempeste. Eppure i dati mostrano in modo preponderante che durante il secolo scorso il livello di protezione delle persone contro tutti questi eventi meteorologici è molto aumentato».
Tra il dire e il fare c’è di mezzo il business, e come ricorda il Wall Street Journal «i due maggiori emettitori di carbonio del mondo, la Cina e gli Stati Uniti, continuano a fare affidamento sui combustibili fossili. La Cina ha rilasciato permessi per due nuove centrali elettriche a carbone a settimana nel 2022. La scorsa settimana, l’amministrazione Biden ha approvato il progetto di trivellazione petrolifera Willow da 7 miliardi di dollari in Alaska». Se continuano così, a poco serviranno gli sforzi green dell’Europa che insiste a volere dare il buon esempio, votando misure estreme come la messa al bando dei motori a benzina e diesel e l’adeguamento della classe energetica delle abitazioni private, senza calcolare adeguatamente le ricadute sociali, economiche ed ambientali di tali decisioni.
Non ignorare il global warming, ma guardare in prospettiva
Un’Europa che secondo il fisico dell’atmosfera Franco Prodi, intervistato ieri da Libero, «si è bevuta il cervello: produce l’8 per cento delle emissioni mondiali, ha meno di 500 milioni di abitanti su una popolazione terrestre di otto miliardi di persone ed è persuasa di poter dare il buon esempio e salvare il pianeta. Per questo si impone politiche suicide mentre gli altri Paesi continuano a inquinare indifferenti e indisturbati».
Come ha scritto ancora Lomborg, «serve un po’ di equilibrio nelle nostre opinioni, e questo non significa ignorare il riscaldamento globale, che è un problema reale e causato dall’umanità. Il punto è che abbiamo bisogno di guardare le cose in prospettiva. Per farsi un’idea di cosa aspettarsi da un pianeta in riscaldamento, si può consultare le stime dei danni fatte sulla base dei modelli economici utilizzati dalle amministrazioni Biden e Obama, che indicano che il costo totale a livello globale del riscaldamento climatico – non solo per le economie, ma in tutti gli ambiti – sarà pari a meno del 4 per cento del Pil mondiale entro la fine del secolo». Si può fare, anche senza spegnere tutto. Fino alla prossima “ultima chiamata”.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!